In Italia, ormai, è emergenza disoccupazione. I dati dell’ISTAT sono sempre più impietosi: peggiorano di mese in mese, segno quanto mai evidente dell’assoluta inefficacia dell’operato dei tecnici. La questione è seria e complessa; ha valenza politica, sociale ed umana.
Politica perché dalla riforma del mercato del lavoro dipendono le sorti del governo Monti. Per chi non l’avesse capito, infatti, se passa la linea Fornero, probabilmente Napolitano chiederà la testa dei professori, poiché l’ampio appoggio dato a questi ultimi dal Partito Democratico sancirebbe la fine proprio del maggior partito della sinistra italiana, dato che simili misure scontentano anche e soprattutto l’elettorato di tale fazione. Un rischio che l’ex compagno, (chissà poi quanto ex!), Napolitano non è sicuramente disposto a correre.
Sociale perché, (come ho più volte detto e scritto), è l’intero apparato di sostegno delle classi meno abbienti che va a farsi fottere, vittima di un circolo vizioso: cala il lavoro, quindi diminuiscono i contribuenti; diminuendo i contributi, si depauperano le casse dello Stato che, di conseguenza, non ha più liquidità per pagare stipendi pubblici e pensioni, e per erogare servizi e ammortizzatori sociali.
Umana perché, (come ho già avvertito in un precedente articolo), stiamo assistendo ad un crescendo di “suicidi da insolvenza”, come li definì Giacinto Auriti, sulla scorta di Pound.
Eppure, il governo se ne frega, al pari dei partiti politici. E’ tutta una pagliacciata: sull’art. 18, in occasione del quale abbiamo assistito ad una manfrina tra casta e sindacati, in cui ciascuno ha condotto la sua lotta, ma nessuno in nome dei lavoratori; di recente, si è aggiunto anche l’exploit della Fornero, la quale ha fatto male i conti sui cd. “esodati”, (lavoratori di cui è stato ritardato il pensionamento proprio per le misure vagliate da Monti e soci): ne aveva contati circa 100.000, ma sono più di 325.000 (fonte). Altri uomini e donne che non sapranno cosa fare nell’immediato futuro per apparecchiare la tavola, a cui si aggiungono il 9,3% della popolazione italiana e il 31,9 % dei giovani (fonte). Un vero e proprio disastro, reso ancor più tragico dall’inasprirsi della pressione fiscale e dalla corsa al rialzo dei prezzi dei beni al consumo.
Se questo è lo scenario, è abbastanza facile prevedere un malcontento dilagante, una nuova massa di disperati: non più immigrati sbarcati da carrette del mare, ma italiani ridotti alla fame in casa propria.
E’ la mortificazione dell’uomo, inteso come essere autonomo, avente diritto all’affermazione della propria personalità, all’indipendenza economica e sociale; è la fine di un Paese e di un mondo interi. Un uomo che non è più un valore da tutelare a prescindere, ridotto come è, ormai, ad un ammasso informe di ossa, muscoli e quant’altro; un Paese ed un mondo che sono il piccolo feudo di pochi signori, liberi di fare ciò che vogliono di tutti gli altri esseri che popolano il loro regno.
Come sono lontani i tempi in cui Virgilio scriveva che “tutto vince il lavoro accanito, e fra mille disagi l’urgente miseria”, e Conrad che è grazie al lavoro che “troviamo la salutare illusione di un’esistenza indipendente dall’universo intero”; ancora: quei tempi in cui si proclamava in maniera solenne che “il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali, è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato”, e alle proclamazioni seguivano misure di sostegno e sviluppo per il mercato del lavoro.
Insomma, poeti, scrittori, statisti ed intellettuali avevano capito che la libera esistenza dell’uomo passa dal lavoro e che lo Stato cresce se anche il lavoro e l’individuo crescono. Concetti tutto sommato semplici, ma non compresi da quei tecnici che, almeno in teoria, dovrebbero rappresentare la miglior intelligentia italica. Cosa resta, allora, di quei tempi andati? Una folla di nuovi poveri; l’ “urgente miseria” descritta da Virgilio. Una situazione su cui è lecito ragionare ed interrogarsi. Da parte mia, vi suggerisco un quesito, il primo che mi viene in mente: ma perché dobbiamo continuare a pagare i fallimenti di così tante mezze cartucce, travestite da menti eccelse? Stavolta, però, pretendo risposte.
Roberto Marzola.
.... perchè? perchè siamo delle pecore stupide ed indolenti. capaci di mettere a ferro e fuoco una città per una sconfitta calcistica, per un rigore dubbio ma vigliaccamente amorfi quando si tratta di far valere i nostri diritti, quando si tratta di salvaguardare la dignità della nostra esistenza. stiamo subendo l'impensabile impostoci da un dittatore (napolitano) attraverso la spada del suo sceriffo (monti) senza che alcuno esca dal bosco a far sentire il rumore delle proprie armi. ricordi, roberto, cosa accadde in romania quando il popolo, per fame, prese coscienza che a fronte di pochi privilegiati tutto il resto soffriva oltre il lecito? assediarono il palazzo del potere, fraternizzarono con chi li avrebbe dovuto "allontanare" ed armati di sola rabbia e disperazione, oltre qualche nodoso randello, fecero giustizia dei tiranni. questo agire dovrebbe la corretta risposta alla tua domanda. dovremmo assediare i palazzi del potere romano lasciando i nostri governanti senza alcuna comodità, senza aperitivi, ristoranti a 5 stelle al prezzo di fast food, senza gas, senza acqua, con le ganasce alle autovetture, con le famiglie angosciate per la loro sorte, con i figli mandati in afganistan, con le case fattesi sulla pelle di altri confiscate o, meglio, offerte a quei migranti da loro così tanto osannati, sodomizzati secondo le nuove abitudini "naturali" da loro caldeggiate. senza violenza, senza sangue, senza morti ma, finalmente, offrendo a questi signori il piacere di vivere come vive la stragrande maggioranza dei loro rappresentati. vedrai, roberto, che a quel punto imploreranno pietà. capiranno sulla loro pelle, nelle loro carni cosa significa avere il frigo vuoto, le scarpe rotte e la disperazione di genitori che vedono crescere figli senza futuro. di uomini e donne, che ancor giovani, hanno smesso di pensare al loro futuro perchè troppo indaffarati a pensare come sbarcare il lunario del presente. questa è la soluzione, realizzabilissima. opporre un muro umano alla loro prepotenza, alla loro insensibilità, alla loro incapacità. avranno voglia di chiamare in soccorso esercito o polizia! i figli del popolo in divisa sapranno bene quale lato della barricata occupare. è l'unica possibilità per salvarci. visto i giorni pasquali che viviamo oso dire per resuscitare. ridare dignità ad un popolo attraverso il suo lavoro. un dovere ancor prima di un diritto ma pure diritto insostitutibile come recita, pietosamente, la stessa costituzione. un binomio inscindibile: uomo e lavoro. questo ci dovrebbe capacitare che è giunto il momento dell'azione e non delle sole parole. rispettandoci noi per primi, rispettando noi per primi il nostro essere uomini, senza creare un feticcio del lavoro ma riconoscendogli la prerogativa del nostro comune crescere. ad maiora!
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