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sabato 9 aprile 2011

IL GIORNALE: LA FINE DI MUSSOLINI. 2a PARTE

LA FINE DI MUSSOLINI/2



Renzo De Felice morì prima di poter stendere l’ultimo volume della sua biografia di Mussolini, che avrebbe affrontato il tema della morte del Duce e di Claretta Petacci. Tuttavia aveva raccolto molto materiale in archivi pubblici e provati, italiani e stranieri, e si era fatto rilasciare dichiarazioni scritte da persone implicate nei fatti. Era andato sempre più convincendosi che le «ultime ore» di Mussolini fossero l’esito di uno scontro fra i servizi segreti alleati in collaborazione con alcuni segmenti della Resistenza. Nel libro intervista Rosso e Nero, egli aveva accennato proprio a questa pista e anzi aveva detto che era stato «un agente dei servizi segreti inglesi, italiano di origine» a esortare i partigiani «a fare presto, a chiudere in fretta la partita Mussolini».
La persona in questione era Massimo Salvadori-Paleotti, meglio noto come Max Salvadori. Antifascista di formazione liberale, aveva aderito a Giustizia e Libertà, era stato inviato al confino e, riuscito a espatriare, si era dedicato all’insegnamento universitario. Durante la guerra aveva trascorso molto tempo in Europa e, come tenente colonnello dell’esercito britannico, si era trovato a Milano alcuni mesi prima della Liberazione, dal 4 febbraio ’45, come ufficiale di collegamento fra il Comando Alleato in Italia e il Clnai. De Felice gli chiese una testimonianza e Salvadori redasse una memoria sulla fine di Mussolini, poi pubblicata in Nuova Storia Contemporanea, nella quale non ammise di aver dato il «via libera» ai partigiani, tuttavia alcune considerazioni sulle competenze del Clnai e dell’Amg sulla sorte di Mussolini potevano esser lette come conferme della tesi dello storico perché lasciavano intendere, fra le righe, la necessità di operare in fretta. Scriveva, infatti, Salvadori: «per il Comando Alleato, il Clnai era il delegato del governo italiano in territorio occupato dal nemico e come tale se Mussolini si trovava in carcere al momento in cui entrava in funzione l’Amg, la giurisdizione del Clnai veniva a cessare e subentrava quella dell’Amg. La situazione dei giorni che precedettero l’arrivo delle truppe Alleate degli ufficiali dell’Amg corrispondeva ad una situazione di stato d’assedio quando il governo viene investito di poteri straordinari. La fucilazione di Mussolini e di altri gerarchi rientrava nel quadro di quella situazione».
Di una «gara di velocità» tra Intelligence Service inglese e Oss americano per la cattura di Mussolini e per far prevalere la scelta della eliminazione immediata del possibile «scomodo testimone» oppure quella del deferimento di Mussolini a un Tribunale internazionale, De Felice trovò altre conferme, sia pure sempre indiziarie. Una testimonianza, ancora inedita, dell’ex ministro della Giustizia della Rsi, Piero Pisenti, è particolarmente significativa. Non fa distinzione tra inglesi e americani, ma dà per scontato l’interesse degli americani a «salvare» Mussolini. Scrive Pisenti: «Di fronte a coloro che affermano come cosa indubbia una sua fine tragica se fosse caduto in mano agli anglo-americani, oppongo una mia intima contraria convinzione». E aggiunge: «È oramai accertato che ufficiali americani affannosamente tentarono di raggiungere \ nell’ultima fase della sua vicenda, non certo per giustiziarlo, ma anzi per sottrarlo a quella che fu detta la missione Valerio».Un’altra testimonianza, pur essa inedita, sulla morte di Mussolini, De Felice la ottenne dall’industriale e uomo politico Fermo Solari, che aveva preso il posto di Ferruccio Parri come vicecomandante generale del Corpo Volontari della Libertà ed era stato tra i fondatori del Partito d’Azione. In una lunga e articolata lettera allo storico, Solari scrisse: «il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia aveva dato disposizione che i gerarchi fascisti dovessero essere giustiziati dopo semplice accertamento della loro identità fisica, e tale fatto non è mai stato smentito nemmeno dai rappresentanti delle forze politiche conservatrici, e quindi avverse a soluzioni sbrigative e quasi di carattere rivoluzionario. Le suddette disposizioni dovevano valere in particolare per Mussolini - dopo che egli aveva respinta la resa senza condizioni fattagli all’Arcivescovado di Milano il 25.4.1945 - tanto più che vi era il timore che se fosse finito nelle mani degli Alleati, egli potesse essere salvato dall’esecuzione capitale, con comprensibili gravi conseguenze per l’Italia democratica. Al Comando Generale del Cvl la notizia della cattura di Mussolini da parte di una brigata garibaldina e con l’intervento anche di una brigata della Guardia di Finanza, è pervenuta la sera del 27 aprile, ma l’informazione era ancora molto sommaria, e tuttavia fin da quel momento sono state prese iniziative per dare esecuzione alle decisioni del Clnai».

Lo storico inglese Richard Collier aveva rivelato che gli americani, subito dopo aver appreso la notizia della cattura di Mussolini, avevano trasmesso, prima al segretario del comando generale partigiano, Alberto Cosattini, e poi a Fermo Solari, un messaggio che preannunciava l’arrivo di un aereo a Bresso per prendere in consegna il Duce. Solari osserva: «Cosattini da me interpellato, ed io stesso, abbiamo memoria della richiesta del comando americano, però né lui né io siamo in grado di confermare che il messaggio sia passato per le nostre mani, anche se non possiamo escluderlo. D’altronde negli ambienti del Comando nessuno ha manifestato in quei giorni l’avviso che si potesse aderire ad una richiesta del genere».
In Rosso e Nero De Felice accennò anche a un rapporto segreto dell’Oss sulla morte di Mussolini, da lui visto e postillato. Il documento fu redatto dal colonnello Lada Mocarski, agente dell’Oss in Italia, Medio Oriente e Francia, il quale si trovava in Svizzera. È una inchiesta dettagliata, con interviste a testimoni e protagonisti, dalla quale emerge che il «colonnello Valerio», alias Walter Audisio, non aveva l’ordine di procedere all’esecuzione, ma che tale ordine gli fu in seguito impartito telefonicamente da Milano. Le congetture di Mocarski confermano peraltro la frattura esistente fra chi voleva che il Duce venisse consegnato e chi ne pretendeva l’esecuzione. L’ipotesi di De Felice sull’esistenza di una «pista inglese» nonché di una «guerra» fra i servizi segreti alleati non era campata in aria, ma si fondava su tanti, e non trascurabili, indizi.
(2. Continua)

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