Ritorno, per chiuderla, sulla questione 1 maggio. Spero non risulti anacronistica; purtroppo un evento cruciale, quale l’esecuzione di Osama Bin Laden, mi ha quasi imposto di occuparmi di altro nei giorni immediatamente successivi al 1 maggio.
Quest’anno la “Festa dei Lavoratori” credo che abbia veramente offerto il peggio di se stessa: scontri sindacali prima,durante e dopo la festa stessa, scene di pubblica isteria, atti vandalici e via discorrendo. Non c’è che dire: il “miglior”, (si fa per dire, ovviamente), repertorio della sinistra italiana, ormai da anni in crisi d’identità e capace di far sentire la propria presenza soltanto quando dà del “mafioso” e del “fascista” a Tizio o Caio, oppure allorché mette a ferro e fuoco Roma e Genova o, infine, quando si lancia nei suoi puerili girotondi.
Cominciamo da Piazza San Giovanni : un’indecenza sin dall’inizio! Suonano le prime note di “Fratelli d’Italia” e in sottofondo si sente un coro: “Berlusconi pezzo di merda”.Finardi attacca con la prima strofa dell’inno,ripetendola varie volte. In quasi tre minuti, la folla avrà cantato sì e no per 10 secondi, preferendo saltellare, neanche si stesse suonando “l’Uva fogarina” o altre canzoni folkloristiche. Evidentemente, per certe persone questo è il massimo del sentimento patriottico. C’è solitamente più decoro e c’è maggiore partecipazione durante le partite della nazionale di calcio: credo di aver detto tutto! Sia ben chiaro che non mi sorprende tutto ciò; del resto lo sanno anche i sassi da che parte vengono codesti signori: sono gli stessi che, fino a ieri, al Tricolore preferivano la bandiera rossa, (forse anche oggi, dato che talvolta quest’ultima ha fatto capolino durante la kermesse romana). Poi è stata la volta dei “Modena City Ramblers”, i quali non hanno trovato niente di meglio che cantare “I cento passi” e “Bella ciao”. Caparezza, invece, è riuscito a fondere due messaggi in una canzone sola,“Legalize the Premier”: vi sono chiari riferimenti alla marijuana, ai suoi derivati e affini, nonché al suo acceso anti-berlusconismo. Quando si dice: lanciare dei sani messaggi ai giovani e rispetto per le istituzioni, qualunque esse siano! Non è tutto, perché, dulcis in fundo, Ascanio Celestino è riuscito ad innescare persino una polemica contro i Papi, affermando che la beatificazione di Giovanni Paolo II il primo maggio è un “è un tentativo da parte della Chiesa di sovrapporre il tempo cristiano a quello laico. Come del resto ha già fatto”.
Lasciamo la Capitale e trasferiamoci a Torino e a Milano, che non sono rimaste certo a guardare. In piazza San Carlo, capoluogo piemontese, al termine del comizio tenuto dalla rappresentante della CIGL Donata Canta, decine di giovani della sinistra antagonista hanno bruciato pubblicamente le bandiere della CISL. Al rogo di effigi hanno aggiunto cori e striscioni con slogan del tipo: “Cacciamoli tutti”, (con le immagini di Berlusconi, Bonanni e Marchionne), “da Pomigliano a Mirafiori del sindacato siete i traditori” e altre facezie del genere. E’ spuntata anche una ghigliottina di gommapiuma con la scritta Bertone sulla lama e Fiat sul manico.
A Milano, invece, i membri dei centri sociali, (quelli che in Italia vengono definiti “ragazzi vivaci”), hanno scagliato uova e gavettoni di vernice contro banche e agenzie, lanciato cori minacciosi contro i negozianti e chi li difendeva, e imbrattato i muri della città con scritte del tipo: “più sbirri morti”, “Digos boia”, “chiudete o ve ne pentirete” e “lasciate ogni speranza o voi che entrate” (questi ultimi due rivolti,invece, ai negozianti). Non finisce qui: difatti hanno lanciato una novità assoluta nell'ambito della guerriglia urbana. Sono, infatti, arrivati anche a riversare un miscuglio chimico, a base di acciaio e schiuma poliuretanica, nelle serrature dei negozi, al fine di impedirne l’apertura. I danni ammontano ad oltre 50 mila euro, mentre le associazioni dei commercianti sostengono che i circa 4.000 esercizi commerciali aperti hanno guadagnato oltre 10 milioni di Euro. Alla luce di questo risultato, i negozianti fanno sapere di volersi attivare per ottenere un provvedimento che li autorizzi ad osservare due giorni soltanto di chiusura obbligatoria durante l’anno, (Pasqua e Natale), anziché i sette attuali, lasciando la mera facoltà e non l'obbligo di lavorare nei restanti cinque.
Insomma, il Primo Maggio in Italia si conferma una festa di partito: bandiere rosse, sindacati di sinistra a fare la parte del leone, frasi ingiuriose e minacciose, (alimentate da un mai sopito odio antifascista, nei confronti di ogni sorta d’avversario politico), atti vandalici, canzoni comuniste mascherate da canti di libertà eccetera, eccetera. Una festa che fa gli interessi di sindacalisti e politici, ma non dei lavoratori.
Mi chiedo: non dovrebbe essere una festa nazionale, cioè di tutti? Perché è solo di qualcuno?
Ma soprattutto mi domando: cosa ha a che fare tutto questo con le fatiche del lavoratore?
La risposta è ovvia: ASSOLUTAMENTE NULLA! Quelle resteranno sempre le stesse, anzi sono destinate ad aumentare, se la situazione macroeconomica non cambia. A dire il vero, dovrebbero cambiare anche le teste di tanti signori, sempre bravissimi a difendere a parole il lavoratore, ma incapaci di sostenerli all’atto pratico. All’uopo, basti pensare che buona parte dei sindacati e della sinistra indica nella flessibilità del lavoro il peccato originale, la causa di ogni male. Peccato che facciano finta di non ricordare che la flessibilità è stata introdotta con la legge 196/1997, il cosiddetto “Pacchetto Treu”, che prende il nome dal Ministro del Lavoro dell’allora governo Dini, oggi senatore del Partito Democratico. Vi rendete conto?
Direi che questi ed altri episodi testimoniano benissimo il totale fallimento dell’apparato sindacale italiano, evidentemente troppo vicino alle segreterie di partito e troppo distante dai lavoratori, unici soggetti a pagare le conseguenze dei disastri commessi da chi i problemi dovrebbe risolverli, anziché contribuire a crearli; da chi dovrebbe dar loro lavoro, anziché imporre, senza la minima autorità, di tenere abbassate le saracinesche e minacciare di ritorsioni chi osa comportarsi diversamente.
Bisogna girare radicalmente pagina; un primo passo potrebbe essere proprio la cancellazione della festività del 1 maggio, (magari accorpandola, come ho già suggerito, con quella, del 21 aprile, da istituire). Alla giornata non lavorativa potrebbe sostituirsi un sostanzioso aumento della retribuzione per quel giorno, accompagnato da una detassazione “straordinaria” per venire incontro anche alle esigenze del datore di lavoro.
Non è che una proposta, da discutere eventualmente. E' certo che un simile provvedimento avvantaggerebbe sia il lavoratore che il datore di lavoro, mentre inchioderebbe alle proprie epocali responsabilità i sindacati, che tutto meritano, tranne che un “dì di festa” a loro dedicato.
Non è che una proposta, da discutere eventualmente. E' certo che un simile provvedimento avvantaggerebbe sia il lavoratore che il datore di lavoro, mentre inchioderebbe alle proprie epocali responsabilità i sindacati, che tutto meritano, tranne che un “dì di festa” a loro dedicato.
Roberto Marzola.
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