Scrivo poche righe solo per stimolare la memoria storica di un Paese che, spesso, dimostra di averla sin troppo corta. Ricordare vuol dire avere piena coscienza di ciò che siamo, di quello che abbiamo vissuto, fatto,detto oppure semplicemente passato; è un imperativo per qualsiasi Nazione che voglia creare delle solide basi, su cui poggiare le premesse per un futuro più grande del presente. Praticamente, un’utopia in Italia, Paese in cui la menzogna è addirittura un affare di Stato.
Il 9 maggio è una data su cui riflettere. In quel giorno del 1978, infatti, si consumano due tragedie, che meriterebbero ben altra considerazione rispetto a quella che hanno solitamente, (ben altra rispetto a quella fatta, ad esempio, oggi da Napolitano, un vero maestro nelle dichiarazioni di facciata e nei discorsi vuoti e scontati): il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro e la morte di Giuseppe Impastato.
Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana con vari incarichi di governo nel corso degli anni, (5 volte Pres. del Consiglio, Ministro della Pubblica Istruzione e degli Esteri, nonché Guardasigilli), fu il fautore dell’apertura al centrosinistra, intesa quale condizione per superare la crisi del centrismo. Propose la “strategia dell’attenzione” verso il Partito Comunista Italiano che, progressivamente, veniva inglobato nella maggioranza di governo, come testimoniano gli esecutivi cd. “della non sfiducia” e, più in generale, la politica del “compromesso storico”. Proprio nel giorno in cui tutto questo si apprestava a divenire realtà, vale a dire il 16 marzo 1978, allorché il P.C.I. era in odore di entrare nel governo Andreotti, Moro venne rapito dalle Brigate Rosse, braccio armato della lotta proletaria, vale a dire il medesimo cavallo di battaglia cavalcato dallo stesso P.C.I. Cinquantacinque giorni che sconvolgono e angosciano l’Italia, (la quale si era divisa, tanto per cambiare, tra favorevoli ad una mediazione con gli aguzzini ed intransigenti), fino a quel 9 maggio, in cui il corpo senza vita di Moro viene fatto ritrovare nel portabagagli di un’auto in via Cetani, a Roma. Una scelta quanto mai simbolica, dato che la via si trova, grosso modo, alla stessa distanza da dove erano ubicate le sedi del P.C.I. e della Democrazia Cristiana.
Nello stesso giorno muore a Cinisi, vicino Palermo, Giuseppe Impastato, detto “Peppino”. Giornalista di grido, cresciuto in una famiglia mafiosa, di formazione socialista, si avvicinò gradualmente agli ambienti di sinistra ma non cambiò la sua massima aspirazione: la lotta senza quartiere alla Mafia; una guerra che fosse ideale e politica, prima ancora che militare; un combattimento condotto attraverso le armi della denuncia e dell’informazione contro il muro dell’omertà. Decide così di scrivere una serie interminabile di articoli contro il malaffare e di candidarsi persino alla elezioni del 1978 nella lista di “Democrazia Proletaria”. Tanto nei suoi scritti, quanto nei suoi comizi, rivolge le proprie accuse, (diffuse anche grazie alla radio da lui fondata, “Radio Aut”), in particolare contro Gaetano Badalamenti, affiliato a Cosa Nostra. Accuse che gli costarono assai care, giacché in piena campagna elettorale rimase ucciso a seguito di un attentato. Lo Stato Italiano, pur riconoscendo la matrice mafiosa del delitto, conduce accertamenti in maniera assai discutibile. Arriva a condannare con l’ergastolo il Badalamenti, (ormai 80enne), solo nel 2002, riconoscendolo quale mandante dell’esecuzione. Insieme a lui, viene condannato a trent’anni di reclusione anche Vito Palazzo.
Mi sono limitato, VOLUTAMENTE, a richiamare i fatti nella loro essenzialità, nell’intenzione di lasciare ogni lettore libero di formare la propria opinione. Ciascuno di noi dovrebbe riflettere su certi accadimenti, accomunati da un tragico dettaglio: il pressapochismo,quanto mai sospetto, con cui le istituzioni di quel tempo hanno operato, dando l’immagine di uno Stato debole, tenuto con troppa facilità sotto scacco da poteri occulti e, quel che è peggio, di un Paese addolorato sì, ma fondamentalmente spaccato in due per l’ennesima volta.
Episodi del genere ci aiutino a crescere; ci stimolino a costruire uno Stato che sia Stato, cioè con una magistratura all’altezza del compito che le è proprio, con un esecutivo e un parlamento forti, risoluti e caparbi, espressione del popolo e servitori della Nazione, piuttosto che ostaggi, (qualcuno direbbe “camerieri”), sotto varie forme, di sparute e variegate masnade: terroristi, mafiosi e ben altre, più nobili e ricche sette. Come si suol dire: “intelligenti pauca”.
Roberto Marzola.
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