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Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
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mercoledì 13 luglio 2011

LA TRAGEDIA DI ESSERE IL FIGLIO DI TOGLIATTI

Di questo "illustre" personaggio, definito ancora oggi "il migliore", mi sono già occupato allorché scrissi quel pezzo intitolato "le idiozie di Palmiro Togliatti". Me ne hanno dette di tutti i colori. Ricordo che mi sono sentito quasi come se avessi osato mettere in discussione la credenza religiosa di una tribù di selvaggi. E proprio come selvaggi certi signori, non sapendo, o potendo o volendo rispondere con l'intelletto, hanno inveito contro di me, sfogando tutta la loro rabbia repressa. Li avrò forse toccati in un punto molto sensibile? Chissà...

Fatto sta che, sfogliando i giornali, ogni tanto capita di imbattersi in qualche articolo davvero interessante. Questo l'ho trovato ieri su "Libero" e parla proprio dei lati oscuri della persona di Palmiro Togliatti, a cui tante vie e piazze nel nostro Paese sono dedicate. Direi che forse è il caso di iniziare a rivedere qualche giudizio su persone e fatti del passato. Buona lettura.

Roberto Marzola.

"Una tragedia: quella di essere il figlio di Togliatti"
Il povero Aldo abbandonato dal padre nella scuola di Stalin e poi, dopo aver tentato due volte invano di imbarcarsi per New York, rinchiuso in una clinica come malato mentale. 


A
ll’età di 85 anni, dopo un lunghissimo ricovero a Modena nella struttura psichiatrica di Villa Igea, sabato scorso (ma la famiglia ha diffuso la notizia soltanto ieri a funerali avvenuti) è morto Aldo Togliatti, il figlio negletto di Palmiro e Rita Montagnana. Era nato a Roma nel 1925, ma l’anno dopo si trovò sballottato a Mosca, dove il padre s’incaricò di spegnere per sempre le ragioni di Antonio Gramsci, che denunciò per primo i metodi stalinisti. Antonio, recluso nel carcere di Turi, da allora fu bollato di trockijsmo, mentre Palmiro si fece complice delle carneficine di Stalin.

Il piccolo Aldo, ragazzino studioso, diligente e acuto, ma timido e introverso, tutt’altro che violento, subisce le angherie del figlio di Tito e degli altri protagonisti del bullismo regnante a Ivanovo. Là, a Ivanovo, c’era la scuola della nomenklatura comunista, dove si educavano i figli dei dirigenti a diventare perfetti stalinisti. Togliatti, mentre il figlio subisce Ivanovo, s’incarica di far eliminare oltre mille comunisti italiani, migliaia di comunisti polacchi, qualche centinaia di compagni tedeschi, infine, migliaia di anarchici spagnoli massacrati non da Franco, bensì dai commissari politici al servizio dell’Nkvd.

NELL'INFERNO DI IVANOVO
Aldo rimane solo nell’inferno dei bulli di Ivanovo e una testimone d’eccezione, Vinca, la figlia di Giuseppe Berti,  donna di grandissimo spessore, lo ricorda sofferente, vulnerabile, ipersensibile, ombroso, portato, anzi costretto, a isolarsi. Avrebbe bisogno di affetto e di attenzioni, ma il babbo è preso dai lavori in corso per far nascere l’homo novus, ammazzando preventivamente gli uomini esistenti. Una volta, papà Palmiro e  mamma Rita lo vanno a trovare e gli promettono: «Aldino, staremo via due settimane, fai il bravo, a presto». Passeranno non giorni, settimane, mesi, ma anni.

Aldo non è gratificato dall’essere «figlio del partito»,  non si sente soldatino di Stalin, desiderando solo un po’ d’amore. Intanto, i compagni di scuola lo picchiano, lo scherniscono, perché non si comporta da comunista combattente, sentendo dentro di sé tutto il male di vivere del presunto Eden sovietico. Scrive lettere in francese, affettuose e rassicuranti, ai genitori, senza ricevere risposta; allora chiede alla zia Elena Montagnana, la moglie del delatore Robotti: «Perché la mamma non torna, dov’è papà?». Non mostra i tratti del rivoluzionario di professione, bensì lo spleen di chi soffre e, allora, viene etichettato come «malato mentale».

Invece, è figlio di Togliatti e dal padre ha ripreso alcuni tratti nascosti e sottaciuti, come quando Palmiro, nel 1922-1923, nel momento in cui i fascisti picchiano duro, sceglie di sparire dal mondo, lasciando a Bordiga e agli altri compagni il destino del manganello e dell’olio di ricino. In quel Palmiro, spaventato, anzi terrorizzato dalle azioni muscolari dei fascisti, c’è in nuce il crespuscolare, dimesso, delicato Aldo. Nel Dna di Togliatti c’era, dunque, l’eventualità dell’inerme Aldo, ma quella potenzialità esplode anche perché quel bambino fu abbandonato in nome di Stalin.

LA SEPARAZIONE DEI GENITORI
Nel 1945, Aldo torna in Italia, giusto in tempo per patire il sisma passionale di suo padre per Nilde Iotti e la conseguente dolorosa separazione di mamma Rita da babbo Palmiro. Nel 1951, figlio scomodo e non più presentabile, ebreo e malato, viene rispedito a Mosca, mentre Togliatti, insieme al partito nuovo, fonda anche la famiglia nuova con la Iotti e l’adozione di una bambina. Rita, per anni obbligata a stare a Mosca, per non disturbare la famiglia togliattiana di tipo nuovo, adesso si dedica al figlio sempre più traumatizzato e sofferente. Hanno problemi per mille motivi, anche perché entrambi ebrei, in una fase in cui esplode l’antisemitismo comunista, con tanto di cacce alle streghe contro i medici e l’omicidio di Rudolf Slansky, segretario del partito comunista cecoslavacco, colpevole di essere israelita. Togliatti li ha cancellati tutti e due questi scomodi ebrei, moglie e figlio, tant’è che nel 1956, partecipando all’epocale XX congresso del Pcus, non ritiene opportuno vederli e salutarli. Rita, disperata, si rivolge all’altro stalinista Vittorio Vidali, comunque più umano di Palmiro, per chiedere aiuto. E l’aiuto consiste nella possibilità, lei prigioniera in Unione sovietica, di poter riavere il passaporto per rientrare col figlio in Italia.

Vidali e, credo, Krusciov, che di Togliatti ha un’opinione pessima, fanno sì che i confinati Rita e Aldo possano finalmente tornare a Torino. Là Rita, che è ormai tutto il mondo di Aldo, si dedica al figliuolo sino al 1979, quando un ictus la porta via dalla valle di lacrime. Aldo torna così ad essere forzatamente «figlio del partito». Dopo un breve periodo in cui è ospite alle Frattocchie, il Pci modenese, nel 1981, lo fa internare in una locale casa di cura, stanza 227, quindi 429, incaricando il compagno Onelio Pini di fargli visita e di portargli la “Settimana Enigmistica” e le sigarette Stop senza filtro, uniche gioie, insieme agli scacchi giocati da solo, del povero Aldo. A parte Onelio e le cure amorevoli del dottor  Nino Costa, saranno i parenti ebrei gli unici a fargli sentire di essere ancora un uomo e non una cosa di cui vergognarsi. Non risultano da parte di Nilde Iotti e neppure della sorellastra, Marisa Malagoli, che pure mi pare sia specializzata in psichiatria, particolari attenzioni per la condizione di Aldo.

BLOCCATO DUE VOLTE DAI POLIZIOTTI
Aldo ebbe un solo sogno, comunque non comunista, quello dell’ebreo errante, anarco-individualista, di navigare sulla rotta delle caravelle di Cristoforo Colombo, verso un mondo diverso, nuovo, verso la Statua della libertà. Ci provò due volte a imbarcarsi per New York e per due volte i poliziotti di Togliatti gli tarparono le ali, bloccandolo. Solo ora, quell’uomo intelligente e delicato, prigioniero di Stalin, è davvero libero.

di Giancarlo Lehner

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