BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


martedì 30 agosto 2011

SCIOPERO DEI CALCIATORI: I SINDACATI PERDONO IL PELO MA NON IL VIZIO

Sembra non conoscere fine la tragicomica vicenda dello sciopero dei calciatori. 
Premetto che chi scrive è un appassionatissimo di questo sport: difficilmente perdo una partita della mia squadra del cuore, (il Milan), o le più importanti del calendario di campionato e di coppa; vado saltuariamente allo stadio per vivere in prima persona le emozioni che solo questa disciplina sa dare; quando ho tempo provo anche io a dare quattro calci al pallone.
A tutto, però, c’è un limite. Non bastavano le storiacce di Calciopoli, i vari scandali scommesse, gli scudetti assegnati e tolti dal giudice sportivo, i ricorsi e i controricorsi; no, c’era bisogno anche dello sciopero dei calciatori. Niente campionato di Serie A. La prima giornata è già stata rinviata a data da destinarsi; non è dato ancora sapere se si giocherà la seconda. Forse sì, forse no. Di sicuro ammireremo le imprese della Nazionale, impegnata contro le modeste Far Oer  e contro la Slovenia per la qualificazione ad Euro 2012; ammesso e non concesso che veder giocare le maglie azzurre sia un piacere dopo la sbornia del 2006. Tocca, tuttavia, accontentarsi. Di questi tempi è, come si suol dire, “tutto grasso che cola”. 
Infatti, i maghi del pallone a scacchi di casa nostra hanno puntato i piedi, prevalentemente, sul contributo di solidarietà, (istituendo tributo per chi percepisce redditi elevatissimi), sulla condizione dei giocatori fuori rosa e sul rinnovo del contratto collettivo.
L’A.I.C., (Associazione Italiana Calciatori), non ha voluto sapere di scendere a patti con la Lega di Serie A. In pratica, un’altra sterile lotta sindacale nell’indecoroso almanacco delle relazioni sindacali di questo Paese. Dopo la triste vicenda Fiat-Fiom, (di cui ho già scritto), stavolta le organizzazione rappresentative dei lavoratori hanno sposato la causa dei calciatori, sebbene definire “lavoratore” un calciatore o uno sportivo in generale, sia roba da far accapponare veramente la pelle. Poverini: devono già allenarsi durante la settimana e giocare ogni tre o quattro giorni al pallone. E per cosa poi? Per quattro miseri spiccioli, sui quali praticamente non grava nessuna imposta. Quelle sono tutte a carico delle società di calcio. Come faranno a mantenere le loro concubine, le Ferrari e i  lussuosissimi yacht? Dove troveranno i soldi per offrire le proprie chiome alla creatività dei barbieri  e i loro corpi scolpiti alla china dei tatuatori?  Che pena mi fanno! 
Per fortuna  c’è una solerte associazione sindacale che combatte i cattivi di turno, difendendo le ragioni di questi sfortunati lavoratori, che così tanti sacrifici debbono fare per arrivare alla fine del mese.
E allora via con gli scioperi, con i rapporti di tensione, con le tavole rotonde, con i tentativi di mediazione. A quando gli striscioni, i cori di protesta ed i girotondi? Conoscendo i sindacati italiani, ci si potrebbe aspettare anche qualcosa di simile. 
Se poi l’Italia, nel frattempo, va a rotoli e non ci sono alternative credibili, chi se ne frega. L’importante è riempire le pagine dei giornali, i siti internet e i tg con gli esisti e gli sviluppi delle trattative tra A.I.C. e Lega di Serie A. “Panem et circenses” si diceva un tempo. Nulla è davvero cambiato. Anzi sì:  il pane ormai è diventato un lusso e la parte dei giullari la giocano i sindacati italiani. Da sempre a dire il vero: ieri quelli dei metalmeccanici, oggi quelli dei calciatori. Urge cambiare direzione; occorre porre fine al predominio di questa classe di inetti che risponde al nome di “sindacati”, mai davvero in grado di rappresentare gli interessi dei lavoratori, quelli veri. L’alternativa l’ho già indicata più volte in questo blog e si chiama CORPORAZIONI DEI LAVORATORI, possibilità a tutt'oggi ignorata per motivi politici. Nessuno si lamenti, allora, se si ripeteranno sceneggiate come quelle ricordate in questo articolo, perché sono davvero l’unico frutto che questo sistema è in grado di produrre. Uomo avvisato, mezzo salvato.

Roberto Marzola.

domenica 28 agosto 2011

UNA PAROLA SCONOSCIUTA MA PERICOLOSA: “MONDIALISMO”


Questo scritto prosegue nella direzione indicata dai post sulla crisi economica e sulle recenti guerre in Siria e nel nordafrica. Tutti, infatti, sono accomunati dal termine che segue: “mondialismo”.
Trattasi di un neologismo con il quale si vuole indicare una concezione politico-culturale che ha per principali fautori gruppi occulti di carattere tecnocratico e plutocratico, fatti di signori molto simili, nel loro agire, a dei burattinai: muovono i fili dell’intero carrozzone, ove compaiono autentici fantocci che prestano volto e braccia al copione dettato dai suddetti signori. Forti dei loro organismi semi occulti, (multinazionali, sistema bancario internazionale, Gruppo Bilderberg, Commissione Trilaterale e via discorrendo), manovrano tutto: dalla politica all’economia, dalla cultura alla religione, dal sociale all’ecologia. Un branco di lupi famelici che sbranano quotidianamente intere greggi di pecore, di cui tutti siamo parte, pur senza accorgercene. Già, perché siamo tutti vittime, (più o meno consapevoli), dei piani e dei progetti di questi autentici criminali impenitenti. Piani e progetti che riguardano la costituzione di quel Nuovo Ordine Mondiale di cui ormai parlo da tempo, composto di un unico governo asservito ai voleri ed ai capricci di questi signori, di un unico mercato in cui siamo tutti affamati consumatori, un'unica e nuova religione, depurata del suo lato spirituale ed ispirata al più becero materialismo, e infine di un unico modo di pensare, ragionare, vestirci, consumare ecc. Un mondo di pecore ignare ed ignave; un pianeta di sottomessi e sfruttati dietro la tanto decantata bandiera della “democrazia”; un intero ecosistema devastato e spremuto fino all’osso pur di soddisfare l’oscena ed insana bramosia di profitti dei “galantuomini” di cui stiamo parlando che, per venirci incontro e rappresentare i nostri interessi, ci risparmiano anche l’immane fatica di decidere il nostro futuro, quel domani che, in teoria, dovrebbe appartenere solo a noi.
Per ora placo la mia ira e non aggiungo altro. Non voglio rubare la scena ad una importantissima ed interessantissima iniziativa, organizzata dai Fratelli abruzzesi delle associazioni “Nuove Sintesi” e “Avanguardia” , i quali presenteranno, in data 3 settembre, il libro “I segreti del Mondialismo”, di Yann Moncomble. Sarà presente Luciano Garofoli, curatore e traduttore del libro. Un onore per la cittadina di Bellante, presso il cui Municipio si terrà la presentazione.
Mi limito pertanto a darvi appuntamento a questo evento al quale parteciperò anche io. Vi lascio col proposito di tornare a scrivere di questo argomento, forte delle riflessioni e degli approfondimenti  che verranno fatti in quella sede.
A presto dunque,
Roberto Marzola.


lunedì 22 agosto 2011

CRISI ECONOMICA: CHE FARE?


Giornali, televisioni, radio e internet ormai non parlano d’altro: la crisi economico-finanziaria. Ha fatto capolino, almeno ufficialmente, nel 2008 ed oggi si manifesta in tutta la sua devastante portata.
Quando è iniziata? Cosa sta succedendo? Quando finirà? Quale è la causa?  Domande che non sembrano essere destinate a trovare una risposta. Eppure ogni canale d’informazione è un’orgia di dati, previsioni,(spesso apocalittiche), numeri, opinioni e ricette per uscirne. Tutto il mondo s’interroga, s’arrovella per cercare di ricondurre sui binari il convoglio impazzito. Così, mentre Obama dimostra un cauto ottimismo, ritenendo infondato il rischio di una nuova recessione[1], la Cina fa sapere, attraverso il quotidiano ufficiale del partito comunista, di essere seriamente preoccupata, dato che la crisi dei Paesi occidentali per il debito estero può danneggiare la sua economia (che sarebbe il male minore,una sorta di legge del contrappasso)[2]. Quando si dice “vederci chiaro”!
Gli italiani,(o almeno una parte consistente di essi), nel frattempo che fanno? Trovano un capro espiatorio: se tutti i mercati del mondo sono in crisi, se per giorni perdono 100 e sporadicamente guadagnano 10, la colpa è di Berlusconi e dei suoi Governi. Chiaro, logico e coerente no? Questi, del resto, sono gli intellettualoni di casa nostra: incapaci di distinguere “micro” e “macro”, tra globale e locale, tra economia e finanza, persino tra triangoli scaleni ed isosceli, tra Giolitti e Mussolini, (vero Scalfari?). Loro sì che possono traghettarci fuori dalla tempesta!
Lasciamo da parte l’ironia, (anche se starei per ore a pigliare in giro certa gente!), e facciamoci seri per un momento, dato che la situazione è veramente drammatica e, a mio avviso, riguarda l’intero sistema fin nelle sue viscere. E non credo sia passeggera, visto che le misure proposte dalle istituzioni più importanti rischiano di dissanguare praticamente tutti. In Italia lo sappiamo bene ormai, dato che Berlusconi ha alzato le mani, invitando a guardare oltre confine per cercare la paternità della manovra contenitiva della crisi,ormai alle porte. Siamo sicuri poi che questa crisi sia “patologica” e non “fisiologica”, o meglio voluta, studiata e programmata da qualcuno?  Il dubbio c’è. Anzi, io ne sono certo; ma ora è meglio non dilungarsi in questioni teoriche e badare prima a quelle pratiche.
Quindi cosa fare? Vi dico il mio modesto parere: uscire quanto prima da questo carrozzone in malora. Rischiare. Correre con le proprie gambe. Affrontare la crisi con le nostre sole forze, perché ritengo che le “risorse del nostro Paese sono immense”:  risparmi delle famiglie, debito pubblico ancora nelle nostre mani, un sistema bancario tutto sommato solido, inventiva individuale e grande professionalità in tutti i settori dell’economia. Dobbiamo solo avere il coraggio di osare, di credere nella nostra Italia.
Il primo passo deve necessariamente essere quello di liberarci dai tanti lacchè, da questa manica di inetti che, chiestoci il voto per fingere di portare avanti i nostri interessi, eseguono gli ordini dei grandi usurai mondiali e mondialisti. E sia chiaro che non c’è differenza tra destra e sinistra. Il problema è a monte, non a valle e riguarda direttamente le forme di stato e di governo. Cacciati i “camerieri dei banchieri” , bisognerà necessariamente rimpiazzarli con gente di comprovata onestà ed incorruttibilità, lontani dai partiti e dai poteri forti. Dovranno essere rappresentanti di un solo governo, forte ed accentrato, curatori del mero interesse nazionale, professionisti nei settori rilevanti dell’economia, non politici di professione. Qualcosa del genere è  già stato fatto recentemente in Islanda, dove hanno addirittura mandato al macero una costituzione obsoleta e inadatta, prima ancora di rinnovare l’intera classe politica.
Sostituiti i timonieri, si prenderà poi di petto la questione. Le soluzioni operative sono molteplici:
·         Drastica riduzione delle importazioni per impedire la dispersione della ricchezza e salvaguardare il mercato interno;
·         Dazi sui beni esteri che concorrono selvaggiamente con i prodotti del lavoro interno;
·         Privilegiare la manodopera nazionale, onde evitare il triste fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori extracomunitari, spesso immigrati irregolari che lavorano al di fuori di ogni legalità e, quindi, non versano ciò che dovrebbero all’erario e ai fondi pensionistico-previdenziali;
·         Ridurre drasticamente i dipendenti pubblici, riduzione che deve essere accompagnata da quella degli enti pubblici, (regioni in primis!);
·         Nazionalizzazione delle banche per  scongiurare il pericolo della speculazione e per garantire denaro alle imprese;
·         Nazionalizzazione delle banche per eliminare il cancro del signoraggio bancario, principale causa del debito pubblico, che comporta l’emissione di moneta gravata da interesse;
·         Socializzazione dell'economia e delle imprese per assicurare la proprietà dei fattori produttivi, (e quindi dei redditi che ne conseguono), non al solo capitalista, ma ai lavoratori impiegati nelle imprese ;
·         Corporativismo per superare lo stato latente di lotta di classe, ( sgradito “regalo” dell’antifascismo nostrano di indole comunista), per ridare voce allo Stato nei rapporti tra capitale e lavoro e, quindi, per dare una tutela effettiva e non meramente illusoria o di facciata ai lavoratori.
·         Accertamento delle responsabilità nella crisi, (per quanto concerne il nostro Paese), e sanzioni.
Questa è la strada maestra da seguire. Questo, a mio avviso, l’unico modo per uscire da una crisi che ha quale unico possibile sbocco un impoverimento generale, umano e materiale.
Se non avremo il coraggio di rischiare e la volontà di riprenderci il nostro futuro, semplicemente non avremo più futuro. Non è un gioco di parole e nemmeno una previsione apocalittica: è soltanto ciò che sta accadendo. E’ unicamente ciò che, forse, qualcuno vuole per arrivare ad un unico mercato,ad un’unica banca centrale, ad un solo governo mondiale asservito a quest’ultima. In altre parole, quello che viene ormai definito come “nuovo ordine mondiale”. 
Vogliamo davvero arrivare a tanto?Vogliamo permettere che tutto ciò diventi realtà?
Spero di no, quindi... DIAMOCI DA FARE!

Roberto Marzola.

venerdì 19 agosto 2011

LUISA FERIDA:STORIA DI UNA DONNA INCINTA CONDANNATA A MORTE DA PERTINI




Avete mai sentito il nome di Luisa Ferida, pseudonimo di Luigia Manfrini Farnè?  Probabilmente no. Provate a chiedere ai vostri nonni e bisnonni: forse la conoscono davvero bene.
Classe 1914, fu uno dei volti più celebri del cinema italiano negli anni ’30-’40, assoluta protagonista nel panorama del  " Cinema dei telefoni bianchi " . Marco Innocenti, giornalista de “Il Sole 24 Ore”, la descrive così: «Bruna, impacciata, focosa, Luisa è bella da morire e ha già addosso quel broncio che porterà con sé nella sua breve vita. Gli occhi sono pungenti da zingara, gli zigomi alti, i capelli color carbone, il corpo splendido, il portamento altero. In lei c'è qualcosa di erotico, di torbido e di felino, una sensualità, una rotonda carnalità da bellezza popolana, così amata dagli italiani di allora»[1].

Era l’estate del ’39 quando la bella Luisa conobbe Osvaldo Valenti, altro divo del cinema dell’epoca. I due furono colpiti dal dardo di Cupido, che li portò a vivere un’intensa storia d’amore. Condivisero gioie e dolori, piaceri e rinunce, ma vissero sempre insieme, sempre uniti. Insieme ed uniti affrontarono anche le sorti dell’Italia a seguito del tradimento dell’8 settembre.
Valenti, che fino ad allora non aveva mai avuto incarichi nella compagine fascista, si arruola volontariamente nella Repubblica Sociale Italiana. Nel ’44 è tenente della Xa Flottiglia MAS. Nel frattempo, pare che la coppia frequenti Villa Triste a Milano, sede della famigerata Banda Koch. Dico “pare” perché non sono stati mai accertati legami tra quest’ultima e la coppia Valenti-Ferida. Nulla di certo, nulla di dimostrato; solo congetture e trame vigliacche, sufficienti per condannarli a morte. Difatti, il 10 aprile ’45 Valenti, forse per aver salva la vita e,soprattutto, quella di Luisa che aspettava un bambino, (la coppia aveva già concepito un figlio, morto purtroppo poco dopo la nascita), decise di consegnarsi spontaneamente ai partigiani. Si rifugiò in casa di Nino Pulejo, appartenente alle Brigate Matteotti, il quale però lo scaricò, affidando le due celebrità al comandante Marozin della Divisione Pasubio, che non era certo uno stinco di santo, dato che era stato trasferito a Milano dal Veneto per sfuggire ad una condanna a morte del CLN, (pensate!), per furti, abusi e altri crimini. 
Il 21 aprile Marozin incontra Sandro Pertini il quale chiede di Valenti; avuta la notizia della sua prigionia, il “grande presidente” ordina lapidario: “fucilali (quindi anche la Ferida, incinta! Ndr); e non perdere tempo. Questo è un ordine tassativo del CLN. Vedi di ricordartene!”. «Ordine tassativo del CLN: chi lo avrà dato e quando? Di quell' ordine, che sarebbe stato determinato dall' accusa ai due d' avere partecipato alle torture della banda Koch e di avere collaborato con i tedeschi ,(ripeto: circostanza mai dimostrata! Ndr),  dovrebbe esserci stato un documento scritto. Nessuno lo ha veduto. Di scritto c' è soltanto un foglio in data 25 aprile dove si legge che ‘...il CLN su proposta dei socialisti vota all' unanimità il deferimento al tribunale militare di Valenti Osvaldo e Ferida Luisa per essere giudicati per direttissima quali criminali di guerra per avere inflitto torture e sevizie a detenuti politici’. Dunque, un deferimento, non una sentenza. Ma in quel mese di aprile, e peggio nei successivi, c' era la fucilazione facile e bastò l' intervento di Pertini a decidere la sorte dei due attori. Marozin voleva scambiarli con cinque dei suoi presi prigionieri dai tedeschi. Fallito il tentativo, non ebbe scrupoli a liberarsi dei due ingombranti personaggi e ad eseguire l' ordine.»[2]
Così, il Valenti e la Ferida furono condotti in una cascina, ove vissero i loro ultimi giorni. L’attore subì un processo sommario, al termine del quale fu confermata la condanna a morte. Condanna che non fu mai comunicata al diretto interessato e che riguardava anche la compagna. Ignari della loro fine, i due innamorati furono caricati su un camion tra gente rastrellata. Giunti in via Poliziano, furono fatti scendere e messi faccia al muro. La donna stringeva in mano una scarpina azzurra di lana, destinata a scaldare i piedi innocenti di quel bambino che non vedrà mai la luce. Partì la raffica di mitra. I due caddero al suolo, stretti tanto nella vita quanto nella morte. Su di loro furono adagiati due cartelloni. Due scritte rosse dicevano: «I partigiani della Pasubio hanno giustiziato Osvaldo Valenti»; «I partigiani della Pasubio hanno giustiziato Luisa Ferida». Tre vite spezzate in colpo solo. Due vite probabilmente incolpevoli riguardo le accuse di collaborazionismo nazi-fascista e di aver compiuto ogni genere di atrocità a Villa Triste; una semplicemente candida. 
Come se ciò non bastasse, Marozin e i suo compagni depredarono anche gli averi della coppia defunta, finiti poi chissà dove.
Negli anni successivi, la madre della Ferida domandò una pensione di guerra, dato che traeva le sue sostanze dai proventi della figlia. La domanda rese doverosi degli accertamenti sulla vicenda. Le indagini dei Carabinieri portarono alla conclusione che “la Manfrini, (vero nome della Ferida, ndr), dopo l'8 settembre 1943 si è mantenuta estranea alle vicende politiche dell'epoca e non si è macchiata di atti di terrorismo e di violenza in danno della popolazione italiana e del movimento partigiano[3].  Conclusione ribadita dallo stesso Marozin, il quale disse: “La Ferida non aveva fatto niente, veramente niente. Ma era con Valenti. La rivoluzione travolge tutti[4]. Nemmeno Valenti aveva probabilmente fatto niente, come fu poi confermato dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ebbe a dire che la Ferida e Valenti non furono giustiziati, bensì assassinati. Su questa posizione anche Romano Bracalini, biografo di Valenti, che dice: "La frettolosa condanna del CLN obbediva sostanzialmente alla regola umana e crudele che alla spettacolarità del simbolo che egli aveva rappresentato corrispondesse subito e senza ambagi una punizione altrettanto spettacolare. In altre parole egli doveva morire non già per quello che aveva fatto, quesito secondario, ma per l'esempio che aveva costituito"[5]. 

Questo è ciò dice la storia, ciò che è realmente accaduto in quei giorni maledetti, che qualcuno si ostina ancora a chiamare “giornate radiose”. A voi ogni commento sull’accaduto. In cuor mio spero solo che prenda avvio un processo di seria revisione storico-politica riguardo la persona di Sandro Pertini, indegnamente spacciato per un eroe del nostro tempo, per un uomo degno di stima e ammirazione. I fatti dicono il contrario: fu un inetto e, per giunta, con le mani sporche di sangue. Direi che è giunta l’ora di smettere di scrivere l’agiografia di questo personaggio, di questo falso mito e di iniziare a dire la verità, cominciando ad insegnarla sin dalle scuole. Perché, a mio avviso,non c’è peggior delinquente di un cattivo che gioca a fare il buono.
Roberto Marzola.

martedì 16 agosto 2011

SIRIA: VITTIMA O CARNEFICE?

Al Camerata Davide D'Amario

Come cambia la bandiera della Siria dopo la rivolta...

Strane analogie sullo scacchiere internazionale. Si apre uno strano asse Nordafrica, Siria, Inghilterra. Paesi che hanno davvero poco in comune, sotto tutti i punti di vista: geograficamente, politicamente, economicamente, culturalmente e storicamente. Eppure, in questi ultimi periodi, presentano così tanti punti di tangenza, dato che tutti sono interessati da ondate di rivolte popolari.
Tutto è cominciato nell’Africa settentrionale. L’hanno chiamata la “primavera araba”; definizione che vorrebbe sottolineare la sete di libertà di quei popoli, oppressi dall’integralismo religioso. Definizione che condivido, non certo per il motivo appena ricordato, bensì per la sorte che è toccata ad alcuni di questi Paesi, la Libia in particolare: la repressione. Come la Cecoslovacchia di Dubcek, infatti, anche la Libia di Gheddafi ha dovuto fare i conti con l’ira funesta di un regime sentitosi minacciato e infastidito, che non è quello comunista, certo, ma quello demo-pluto-cratico capitanato dagli USA. La sorte toccata allo “scatolone di sabbia” non si è estesa alla Tunisia, all’Egitto e alla Siria per un semplice motivo: questi Paesi non hanno scorte petrolifere paragonabili a quelle libiche. Londra, invece, è stata risparmiata per una legge di natura, ovvero l’autoconservazione della specie… Ecco cosa muove davvero questi signori: l’interesse economico; altro che le aspirazioni all’emancipazione politico-sociale di quelle genti!
Lasciamo da parte questa digressione, che porterebbe il discorso troppo lontano. Mi interesserebbe concentrarmi un po’ sulla situazione in Siria, Paese in agitazione dal marzo scorso, di cui però si è parlato scarsamente e del quale si sa davvero poco. Il presidente Bashar Al-Asad, il quale non ha mai fatto mistero delle proprie antipatie per l’imperialismo americano  e sionista, si trova a dover fronteggiare un’ondata di protesta contro il suo governo, partita, guarda caso, dalla zona meridionale del Paese, quella al confine con Israele. Sarà una semplice coincidenza che il rappresentante di uno Stato che non ha mai voluto trattare con il “popolo eletto” e che, anzi, chiede la restituzione di terre indebitamente sottratte quali sono le alture del Golan, sia interessato da un’insurrezione che proviene da quelle zone? Che sia tutta una situazione creata ad arte e rispondente ad un disegno politico preciso, vale a dire la piena affermazione ed espansione dello Stato di Israele, coadiuvata dai fedelissimi U.S.A. e dagli asserviti Stati d’ Europa? Stai a vedere che il Sionismo non è una balla messa in giro da nostalgici antisemiti? Vogliamo scommettere che la Siria, (come, in fondo, la Libia), sia vittima di un complotto?
La risposta a queste domande (retoriche!), si ottiene dall’analisi della situazione di fatto, ben riassunta dalle dichiarazioni del Presidente Bashar Al-Asad, che ha parlato proprio di «complotto […] che affligge la Siria sin dal periodo pre-indipendenza», ordito da «intellettuali radicali e blasfemi che stanno scatenando il caos in nome della libertà». Al complotto la Siria ha reagito con la forza, proprio come ha fatto Cameron a Londra. Solo che mentre il Premier britannico disponeva che fosse ripristinato l’ordine con qualsiasi mezzo e dichiarava che «la controffensiva è in corso, decideremo qualsiasi azione necessaria per riportare ordine nelle nostre strade» e «non consentiremo che vinca la cultura della paura», l’Occidente si spellava le mani dagli applausi e si spendeva in lunghe pantomime per esprimere solidarietà e vicinanza; se, invece, a comportarsi nella stessa maniera è il Presidente siriano, allora si levano al cielo grida di sdegno e ferme condanne, si applicano sanzioni politiche ed economiche e si tirano in ballo i diritti umani. Due pesi e due misure, proprio come è nello stile radical-democratico, dove le differenze, semmai, sono segnate dal PIL nazionale e/o dalla sfera di influenza. Ecco un’altra dimostrazione del fatto che i diritti dell’uomo, al di là delle dichiarazioni di facciata, sono tutt’altro che assoluti e dipendono proprio da queste due variabili.
A rafforzare la tesi del «complotto», comunque, stanno alcuni elementi a mio avviso preoccupanti. Innanzitutto, è il comportamento grottesco dell’informazione mediatica, la quale si occupa della Siria in maniera assolutamente residuale e quando lo fa, lo fa solo per dire peste e corna dell’operato di Al-Asad. Il fatto, poi, che queste notizie trovino spesso secca smentita offre una prova ulteriore e forse decisiva. Poche notizie, insomma, e pure false. Ecco alcune dimostrazioni: il falso rapimento della blogger lesbica Amina; la morte, (in realtà mai avvenuta!), di alcuni neonati a causa della volontaria interruzione di corrente all’ospedale da parte dell’esercito siriano; la presunta dipartita del ministro della difesa siriano, rimosso da Al-Asad per motivi di salute, del quale si diceva invece che fosse stato ucciso da uomini vicini al regime perché si rifiutava di eseguirne gli ordini. In sostanza, proprio come avvenuto in Libia, dove i mass-media descrivevano un quadro di violenze a senso unico, (da cui risultava la diabolica perfidia delle truppe di Gheddafi e il carattere angelico dei ribelli), anche in questo caso vorrebbero farci credere che stiamo assistendo ad un altro episodio della lotta del bene contro il male, in cui ovviamente il bene è rappresentato dalla popolazione insorta, (che magari cela infiltrati al soldo di chissà chi, porta violenza nelle strade, appicca incendi, ruba e sparge terrore), ed il male dall’esercito siriano guidato da Al-Asad, (che cerca semplicemente di tenere la situazione sotto controllo, rispondendo alla violenza con la violenza e proponendo addirittura un’amnistia generale e una riforma della costituzione).
In definitiva, alla luce di quanto appena detto appare chiara una cosa: la “libertà” e le aspirazioni democratiche c’entrano ben poco con questa rivolta, così come con gli interventi armati delle potenze occidentali. A mio avviso, siamo solo in presenza di una nuova fase di assestamento del “nuovo ordine mondiale”, al quale si sta lavorando tanto nelle strade, (creando situazioni pericolose e aizzando la folla contro l’ordine costituito), quanto nelle stanze del potere, (pianificando interventi militari per dare manforte alla popolazione insorta nel detronizzare i “dittatori” che non cedono ai ricatti di questi oscuri signori). Del rispetto dei diritti umani, della sovranità nazionale e di tanti altri elementi di cui straparlano LorSignori non vi è traccia; vi sono solo interessi politici ed economici. Una colonizzazione del mondo che si muove su più livelli e che viaggia su più continenti: dal rinsaldamento dell’asse Israele-U.S.A. alla “Primavera araba” e alla conseguente guerra in Libia; dalla crisi pilotata al debito americano, ormai completamente in mano cinese; dalle denunce contro Al-Asad alle dichiarazioni di George Soros, (ebreo sionista), che parla di uno spostamento del centro del mondo dall’America alla Cina.
Vecchi interessi e nuovi schiavi. Strane coincidenze e assurde divergenze. Un incredibile gioco di contrasti che rende la situazione così complicata, eppure così chiara: i giochi sono fatti o stanno per farsi, e le vittime di tali ludi politici siano proprio noi. Ci trattano come scimmie ammaestrate e noi, stando zitti, osserviamo impassibili ed impotenti alla restaurazione del mondo secondo questi interessi.
Non ci credete? Fatevi un giro per la rete, iniziando dalle fonti sotto riportate. Vedrete che, purtroppo, le cose stanno proprio così. Se non peggio. SVEGLIA!
Roberto Marzola.

giovedì 11 agosto 2011

GIUSEPPINA GHERSI: UNA VITTIMA DIMENTICATA DELLA FEROCIA PARTIGIANA


Torno a riaprire un capitolo doloroso: le vittime del fuoco della guerra civile, divampato in Italia a seguito del tradimento consumato l’8 settembre 1943.
Questa volta voglio parlare della triste vicenda di Giuseppina Ghersi, quasi del tutto sconosciuta al grande pubblico. Io stesso ne sapevo davvero poco prima di oggi ; l’avevo solo intravista ne “Il Sangue dei Vinti”. Poi una persona amica, (Francesco C., a cui dedico questo scritto in segno di profondo ringraziamento), mi ha consigliato di approfondirla.
E’ la tragica storia di una piccola ragazza, ma che aggiunge una tessera di grande importanza nel mosaico della Resistenza italiana; un mosaico fino a ieri alterato, enfatizzato, edulcorato, ma che oggi, grazie anche a storie come quella in oggetto, assume tutt’altri contorni. E ne assumerà sempre di diversi, meno gloriosi ed eroici man mano che i rimasugli del “pensiero omologato” cadranno sotto i colpi della verità storica.

Dalle diverse fonti,( tutte disponibili in rete), che ho avuto modo di reperire e confrontare, emerge che Giuseppina Ghersi, classe 1931,figlia di commercianti ortofrutticoli, era una studentessa iscritta all’istituto magistrale “Maria Giuseppa Rossello” di Savona. Alunna diligente, scrive un tema che la maestra riesce a far pervenire al Duce in persona, il quale fa pervenire i Suoi complimenti alla fanciulla per mezzo del Suo segretario personale. Questa è l’unica cosa certa che si sa sul suo conto fino agli ultimi giorni della sua vita. Nessuna forma di militanza o di collaborazione col regime. Nessuna tessera di partito, nemmeno a casa sua. Solo un suo parente, un certo Attilio M., aveva la tessera del P.R.F. Per il resto niente. Niente di niente. Eppure, nell’aprile del 1945, durante quelle che vengono definite “giornate radiose”, Giuseppina Ghersi viene accusata di “collaborazionismo nazifascista” dai Partigiani di zona, addebito che le costerà la vita dopo atroci sofferenze. Ma andiamo per gradi.

Dall’esposto presentato dal padre al Procuratore di Savona il 26/09/1949[1], risulta che il 25 aprile 1945 dei Partigiani bussarono alla porta di casa Ghersi in cerca di alcol,bende e garze, prontamente consegnate dalla famiglia. Il giorno seguente, mentre si recavano sul posto di lavoro, furono intercettati da alcuni Partigiani, i quali, senza alcun motivo, li condussero al campo di concentramento di Legino, (istituito dagli eserciti alleati nel savonese. Sì anche i "liberatori" istituivano campi di concentramento!). 
Giunti sul posto, altri Partigiani pretesero che fossero loro consegnate le chiavi dell’abitazione e del magazzino dei Ghersi. Di lì a poco, altri membri di quella famiglia furono internati nello stesso campo di concentramento. Mentre alcuni “eroi della Resistenza” depredavano di ogni bene il padre di Giuseppina, altri facevano pressioni su di lui per ottenere la consegna della ragazzina, che si trovava altrove. I Ghersi chiesero spiegazioni ai Partigiani, i quali li rassicurarono «che si trattava di un semplice controllo e che avevano bisogno di fare delle domande alla figlioletta. Siccome Giuseppina aveva precedentemente vinto un concorso a tema ricevendo, via lettera, i complimenti da parte del segretario particolare del Duce in persona, trattandosi di una bonaria quisquilia, i genitori si persuasero parzialmente circa le intenzioni dei partigiani e, accompagnati da uomini armati, andarono a prendere la piccola. L'intera famiglia Ghersi venne dunque tradotta nuovamente al campo di concentramento dove iniziò il primo giorno di follia. E' il pomeriggio del 27 aprile 1945: madre e figlia vengono malmenate e stuprate mentre il padre, bloccato da cinque uomini, è costretto ad assistere al macabro spettacolo, percosso dal calcio di un fucile su schiena e testa. Per tutta la durata della scena gli aguzzini chiedono al padre di rivelare dove avesse nascosto altro denaro e oggetti preziosi. Giuseppina cade probabilmente in stato comatoso perché, come riferisce l'esposto al Procuratore, "non aveva più la forza di chiamare suo papà". Verso sera inizia a piovere e le belve, stanche di soddisfare i propri istinti, condussero Giovanni e Laura Ghersi presso il Comando Partigiano di Via Niella dove viene chiaramente detto che a loro carico non è emerso nulla. Nonostante ciò i partigiani li rinchiusero nel carcere Sant'Agostino. Giuseppina subì da sola un lungo calvario di sofferenze finché, il 30 Aprile 1945 (?), viene finita con un colpo di pistola per poi essere gettata davanti alle mura del Cimitero di Zinola su un cumulo di cadaveri. Il corpo viene disteso dal personale del luogo nella fila dei riconoscimenti per diversi giorni. Qui viene notato dal sig. Stelvio Murialdo per alcuni agghiaccianti particolari»[2].
Vi risparmio la descrizione dettagliata delle sevizie subite dalle famiglia per rispetto e per pudore. Ad ogni modo, se volete rendervi conto della bestialità del trattamento ricevuto, potete consultare gli esposti che il signor e la signora Ghersi hanno rilasciato al Procuratore di Savona. Vi avviso: sono davvero agghiaccianti!

Al termine delle torture, comunque,i coniugi Ghersi, informati che non c’era nulla a carico contro  di loro, furono ugualmente imprigionati al Carcere di S. Agostino. Il marito fu rilasciato l’11 giugno, senza essere mai neanche interrogato per tutta la durata della detenzione. La moglie fu trattenuta 12 giorni. Uscita dal carcere, dovette affrontare mille traversie per poter rientrare in casa sua col marito. Le violenze non terminarono, tant’è che l’11 luglio dello stesso anno, un altro commando partigiano si presenta all’uscio dei coniugi Ghersi, per prelevarli e portarli chissà dove, dato che conoscevano gli autori delle violenze subite in aprile. Per fortuna, la porta di casa resistette agli urti, salvando la vita ai Ghersi, che furono costretti ad abbandonare la città e a vivere quatto anni di stenti, senza lavoro e senza soldi.

Di tutta questa storia, poco o nulla si è saputo fino ai nostri giorni.  L’Anpi e la sinistra di casa nostra si ostinano ancora a chiudere gli occhi e le orecchie di fronte a questi fatti. Quelli di Indymedia, addirittura, gridano alla “falsificazione storica” e alla “strumentalizzazione politica”[3]. Altri, per fortuna, dimostrano maggior prudenza e buon senso, e sembrano disposti ad ascoltare, salvo però cercare giustificazioni di comodo. E’ il caso, ad esempio, della «Sig.ra Vanna Vaccani Artioli - per 27 anni segretaria provinciale e consigliere nazionale dell'Anpi - che afferma: "Mi ricordo Giuseppina Ghersi. Era poco più che una ragazzina ma collaborava con i fascisti. La sua fu sicuramente un'esecuzione"». O dell’ex senatore del P.C.I. Giovanni Urbani «all'epoca commissario politico della divisione partigiana "Gin Bevilacqua", che dichiara sui giornali locali: "Sono sceso a Savona proprio quel giorno ma non sapevo di questo episodio che merita di certo un approfondimento negli archivi. Non sarebbe un caso isolato. Venivamo da una guerra civile in cui era successo veramente di tutto"[4]. Che sia un primo passo verso la verità storica e la pacificazione nazionale? Francamente lo dubito. Certa gente è ancora troppo affetta da “fascistofobia” per poter aprire gli occhi e per riconsiderare la propria posizione. Temo che non riuscirà mai a dare un giudizio sereno ed imparziale, nonché depurato da contenuti ideologici. Ma il fatto che di queste vicende inizi a trovarsi traccia negli archivi è già un buon segnale. Ovviamente non per i seguaci della Resistenza. Loro sono ancora convinti di aver liberato l’Italia e di averlo fatto in maniera eroica e pacifica. Lasciamoli ancora sognare; l’ora del risveglio sta arrivando, anche se con un po’ di ritardo.
Roberto Marzola.



Altre fonti:
Gli esposti dei coniugi Ghersi:



domenica 7 agosto 2011

PAOLA CONCIA: UN MATRIMONIO DA SPOT POLITICO

E' proprio vero: ormai non esiste più la vergogna. Prima si parla di rispetto e dignità; ci si riempie la bocca di questo o quel diritto o di "altissimi ideali". Si  farebbe di tutto pur di elevare il rango sociale di determinate categorie di persone,( ma se il punto di partenza è: "sono uguali a noi", allora mi chiedo cosa ci sia da elevare!), al fine di difenderle. Poi però...

Eh sì, c'è un "però". Un grosso "però", che si palesa in tutta la sua pregnanza nel momento in cui, come al solito, arriva il momento di passare dalle parole ai fatti. E cosa si vede, allora?

Una deputata del P.D. che va a sposarsi in Germania. Uno si aspetterebbe una cerimonia sfarzosa sì, (visti gli introiti di cui beneficiano i parlamentari italiani), ma tutto sommato normale. E, invece, è accaduto tutto l'opposto: un bel servizio confezionato ad arte su "Vanity Fair": un mix ripugnante di ostentazione, pettegolezzo da parrucchiera e logica capitalista, cioè quella del "vendere, vendere, vendere!". A questo cedono i signori descritti nelle prime righe. Per la serie: predicare bene e razzolare male. Io direi, piuttosto, che questi signori predicano male e razzolano peggio.

La nota, poi, diviene ancor più stonata quando si  osserva il solito vespaio di polemiche innescato da quel servizio. Così il presidente di Gaynet, Grillini, definisce quasi triste il fatto che le coppie omosessuali italiane debbano andare all'estero per convolare a nozze; Giovanardi, pur di non cedere alla provocazione, si trincera dietro alla Costituzione e alla definizione di famiglia che in essa è contenuta; "Avvenire", infine, va giù duro e critica la scelta "mediatica e commerciale" della Concia.

Di fronte a tutto questo mi viene da dire una cosa: ma uno spaghettino allo scoglio, magari seguito da arrosto e frittura di pesce, dolce,spumante, frutta, caffè e ammazzacaffè con amici e parenti, era troppo poco per la signora Concia? Non poteva avere delle nozze normali, tradizionali, come tutte le altre coppie sulla faccia della terra? C'era bisogno del servizio fotografico, come se si trattasse di una sciacquetta di Hollywood?

Evidentemente no. Tutto questo era troppo poco. E' proprio qui, allora, che viene il sospetto: siccome la signora Concia non è sicuramente stupida, (o almeno spero), dico che sapeva bene quali sarebbero state le conseguenze di tanta visibilità. Non ha fatto niente per evitarle, per togliersi dalla vetrina mediatica. Tanto lo stratagemma è sempre quello: "bene o male purché se ne parli". Del resto, persino due semplici righe o qualche scatto possono rappresentare una manna per i sostenitori della causa omosessuale.
Allora dico una cosa sola alla signora Concia: sia semplicemente responsabile delle proprie scelte e dei propri gesti. Si dimostri aperta alle critiche e al confronto, (anche duro), con chi la pensa diversamente da lei. Eviti, se possibile, certe sceneggiate e provocazioni così puerili. Perché se accettare di spiattellare le foto del proprio matrimonio su un rotocalco modaiolo è già piuttosto ridicolo, lamentarsi perché quegli scatti rischiano di compromettere il viaggio di nozze, sarebbe ancor più ridicolo. Non vorrei che pure il senso del ridicolo non conoscesse fine come quello della vergogna.

Roberto Marzola.

martedì 2 agosto 2011

STRAGE DI BOLOGNA: LA STRAGE NON E’ FASCISTA!


Ricorre oggi, 2 agosto 2011, il 31° anniversario della “Strage di Bologna”.  Alle ore 10:25 del 2 agosto 1980 una valigia piena di tritolo esplose nella stazione ferroviaria del capoluogo emiliano, causando la morte di 85 persone ed il ferimento di oltre 200.
La città e l’Italia piombarono in un clima di profonda angoscia, sgomento, dolore ed indignazione, a cui si cercò di porre rimedio con la caccia al colpevole. Nel gennaio 1987 prese avvio un lungo e travagliato iter processuale, durante il quale la magistratura italiana offrì davvero una pessima immagine di sé: errori clamorosi, prove insufficienti, mandati di cattura per persone completamente estranee ai fatti, un giudizio di secondo grado completamente da rifare per ordine della Corte di Cassazione, in quanto la sentenza d’Appello appariva  illogica, priva di coerenza, non ha valutato in termini corretti prove e indizi, non ha tenuto conto dei fatti che precedettero e seguirono l'evento, immotivata o scarsamente motivata, in alcune parti i giudici hanno sostenuto tesi inverosimili che nemmeno la difesa aveva sostenuto”. Alla fine, vennero condannati all’ergastolo, essendo ritenuti autori materiali della strage, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, entrambi attivisti di estrema destra; a 30 anni di reclusione, invece, fu condannato Luigi Ciavardini. Vi furono altre condanne, stavolta per depistaggio, a carico di Licio Gelli, arcinoto gran maestro della loggia massonica P2, dell'ex agente del SISMI Francesco Pazienza, degli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci Giuseppe Belmonte, di  Massimo Carminati, estremista di destra, di Federigo Mannucci Benincasa, ex direttore del SISMI di Firenze, e di Ivano Bongiovanni, delinquente comune legato alla destra extraparlamentare. 
Non vennero mai accertati i moventi, né furono mai trovati mandanti della strage. Tutto fu grossolanamente ricondotto nell’alveo del “terrorismo nero”, cioè neofascista.
La sentenza desta ancora oggi non pochi sospetti. Aleggia il terrore che si tratti di un provvedimento assai distante dalla verità dei fatti, giustificato solo da deplorevoli interessi politici. I presunti autori della strage, infatti, continuano a dichiararsi tutt’oggi innocenti. Le incriminazioni paiono assurde: basta dire che Nanni De Angelis e Taddeini, tirati in ballo nelle indagini, si trovavano addirittura in Umbria per giocare un torneo di rugby; Luigi Ciavardini è stato coinvolto a seguito delle dichiarazioni di Angelo Izzo, meglio noto come il “mostro del Circeo”, che seppe dire soltanto che “De Angelis, Taddeini e Ciavardini erano inseparabili” e  che, quindi, dovevano per forza di cose aver partecipato tutti e tre alla strage. La magistratura ha considerato attendibile tale deposizione, sebbene sapesse che i primi due membri del triumvirato neofascista si trovavano altrove. Ma non è tutto. Vennero comprovati numerosi depistaggi, non sempre tenuti nella giusta considerazione dagli inquirenti.
Di fronte a tale marasma giudiziario, sono stati molti i tentativi di fare chiarezza. Prima di allegarvi qualche stralcio interessante, (nella speranza di incentivarvi  a cercare e consultare direttamente le fonti , dato che questa è e vuole essere solo una ricostruzione di massima degli eventi), voglio dirvi che a mio parere è chiara una cosa: la strage non è fascista
Troppe incongruenze, troppe illogicità, troppe tesi stiracchiate. Manca il movente, mancano i mandanti e non si capisce come dei 20enni dell'epoca abbiano potuto procurarsi e gestire in maniera così efficiente grossi quantitativi di esplosivo. 
Molto probabilmente la strage, assai simile a quella di Ustica, è da considerarsi una vera e propria strage di stato, originata e orchestrata da soggetti che non parlavano italiano, ma così potenti da mettere a tacere lo stato italiano, (minuscola voluta), dato che quest’ultimo ha prestato la propria, ripugnante e viscida complicità a questo sporco gioco.
Vi lascio con alcune dichiarazioni che smentiscono seccamente qualsiasi forma di responsabilità neofascista nella strage, molte delle quali davvero autorevoli, eppure ignorate dalla magistratura italiana. Mi raccomando però: non fermatevi qui! Cercate e approfondite queste informazioni perché, come diceva Orwell, “la verità in tempi di assoluta menzogna è un atto rivoluzionario”.
Roberto Marzola.
Ø  
  1. ..."c'è da chiedersi se, prima di indignarsi, il Prc emiliano si sia preso la briga di consultare gli atti processuali che hanno portato alle condanne dei Nar..”.  Andrea Colombo, giornalista de "Il manifesto".
  2. Ø  “Premetto che non ho mai ritenuto la Francesca Mambro e Giusva Fioravanti responsabili dell’eccidio di Bologna. L’ultima, assai debole sentenza di condanna è da ascriversi alle condizioni ambientali, politiche ed emotive della città in cui è stata pronunziata, nonché alle teorie allora largamente imperanti nella sinistra e nella collegata "magistratura militante": essere funzione della giustizia quella di partecipare alla lotta...”- Francesco Cossiga, Presidente emerito della Repubblica e all'epoca della strage ministro dell'Interno
  3. Ø  “...da quella lapide dobbiamo togliere le parole "strage fascista", perché ciò è riduttivo e fa parte del depistaggio operato sulla strage di Bologna, diversa dalle altre stragi e che ha molto più a che fare con Ustica e con i rapporti tra Italia, Francia, Stati uniti, i servizi occidentali e le strutture segrete. Dire che sono stati Fioravanti e compagni è stato un depistaggio: su quella lapide bisogna scrivere "strage di stato"- On. Cipriani, Democrazia Proletaria
  4. Ø  La strage del 2 agosto, a Bologna, non è opera dei fascisti. […]quella è roba della Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene. Il guaio è che l’Italia è una semicolonia degli Stati Uniti, ragion per cui nel vostro Paese non si possono risolvere i tanti misteri… L’Italia dal 1943 è metà pizzeria e metà bordello degli americani, per questo non si risolve nulla… e lo stesso vale per la Germania, semicolonia americana dal 1945. […]In quegli anni -- il traffico di armi ed esplosivi attraverso l’Italia era cosa soltanto nostra. Col beneplacito dei servizi italiani, coi quali noi rivoluzionari trattavamo personalmente, i compagni potevano attraversare l’Italia, così come la Grecia, con tutte le armi in arrivo da Saddam Hussein. Per questo posso certamente dire che in quei giorni mai ci sarebbe potuto sfuggire un carico di T4 grande come quello fatto esplodere a Bologna. Non sarebbe sfuggito a noi e di certo non lo potevano avere in mano i neofascisti italiani. Quel tritolo viene dai militari… Tra i rivoluzionari palestinesi e l’Ori (l’Organizzazione dei rivoluzionari internazionali, quella di Carlos, ndr) - puntualizza il terrorista - i patti con i servizi segreti italiani erano chiari: in Italia traffico di armi sì, attentati no… E noi abbiamo mantenuto la parola” - Ilic Ramirez Sanchez, meglio conosciuto con il nome di “Carlos”, terrorista filo-palestinese che si dice convinto che a colpire l’Italia furono la CIA e il Mossad che la ritennero responsabile di tenere una politica filo-palestinese.


Fonti principali:
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