Un recente articolo apparso su "Libero" riguardo la natalità in Italia ha scatenato un bel putiferio. Il giornalista, riportando lo studio della Harvard Kennedy School of Government, proponeva di togliere i libri alle donne per spronarle a fare figli, dato che la ricerca americana dimostra che a tassi crescenti di istruzione femminile corrispondono soglie minori di maternità e viceversa. Apriti cielo! Gliene hanno dette di tutti i colori. Forse se l'è anche cercata. Una provocazione perfettamente riuscita.
A parte questo, però, si mette in evidenza un problema serio, anzi serissimo: quello della natalità appunto. Rapporti ISTAT dicono che ogni donna italiana ha in media 1,32 figli pro capite. Pochi, troppo pochi se pensiamo che nel 2010 ci sono state 561.944 nascite, contro il 1.035.207 del 1964 o le 841.858 del 1975. Un Paese, il nostro, destinato ad invecchiare se questa tendenza non viene bruscamente invertita. Un Paese che, contrariamente a quanto dicono i soliti "tolleranti" e "benpensanti", non può affatto sperare di contare sui figli degli immigrati, i quali saranno, giustamente, italiani solo se sceglieranno di avere questa nazionalità piuttosto che quella d'origine.
Quali le cause e quali le soluzioni?
Pur non essendo un sociologo, mi sento di azzardare alcune cause. In primo luogo vi è sicuramente un problema culturale che riguarda tanto l'uomo quanto la donna: la genitorialità ha perso parecchie posizioni nella scala delle priorità individuali o comunque della coppia, soppiantata da ambizioni lavorative, dall'egoismo individualista e, lasciatemelo dire, dalla follia femminista, (prima di lapidarmi, cortesemente, aspettate la fine dell'articolo).Una volta essere padre era un traguardo di maturità, quasi un'unità di misura dell'essere maschio. Vigeva la pratica del cd. "matrimonio ripatore" e si diceva: "devi prenderti le tue responsabilità di uomo". Oggi si preferiscono l'avanzamento di carriera, la palestra, il calcetto e le serate in discoteca. Stesso discorso per le donne, anch'esse prese più dal lavoro e dalla voglia di riscatto per l'intera categoria che dall'essere madri. Vittime più o meno consapevoli dell'eresia femminista che alimenta sogni, (spesso chimere), di emancipazione, di ribellione ad una presunta oppressione maschile e maschilista e di realizzazione di un mondo più rosa, sempre più signore e signorine scelgono di svestire i panni della donna di casa per indossare quelli dell'imprenditrice, della libera professionista o della dottoressa. I figli diventano un ostacolo a tutto questo, perché richiedono attenzioni e sacrifici e comportano grandi responsabilità.
Vi sono poi ragioni di tipo economico. Un pargolo, si sa, costa quattrini, non solo rinunce. Serve una casa più grande.Vestitini, passeggini, pappe, pannolini e quant'altro non sono merci a buon mercato. Meglio non pensare poi a quando i bebè diventeranno adolescenti e ragazzi e cominceranno ad andare a scuola, a chiedere i soldi per uscire con gli amici, a volere il videogioco e il motorino. Una grossa voce passiva sul bilancio familiare; un incubo di questi tempi, in cui è diventato veramente difficile persino arrivare alla fine del mese per due persone che lavorano. Figuriamoci come si possa pensare di crescere un bambino in simili condizioni, con uno Stato che resta a guardare anziché dare aiuti concreti!
Infine, ritengo esservi un problema legato al concetto stesso di famiglia. Il nucleo familiare così come rappresentato nell'immaginario collettivo è ormai un vago ricordo. La "famiglia fondata sul matrimonio" conosce tempi difficili. Va di moda la convivenza, cioè un tipo di rapporto fatto di molte libertà, scarsi doveri e poche responsabilità. Un ambiente decisamente poco adatto per la crescita di un bambino che, forse, suscita angoscia, causata dal timore di ritrovarsi a crescere un figlio senza l'aiuto del partner.
Il problema, come ho anticipato, è gravissimo. Un Paese senza figli è un Paese senza futuro. Si va incontro alla perdita di identità, alla cancellazione di usi e costumi millenari, all'estinzione etnica; ma si rischia anche di non avere crescita economica e sociale, di non avere più ricambio nelle scuole e sui luoghi di lavoro, di non avere più una classe lavorativa e produttiva in grado di mantenere il resto della società. Sarebbe la fine dello stato assistenziale: niente più scuole primarie, niente più ospedali, pensioni, indennità di disoccupazione, difesa dell'ambiente ecc. Serve una risposta politica seria. Urgono, cioè, misure di sostegno alle famiglie, che rendano conciliabile la professionalità con la genitorialità. Occorrono soldi da dare alle coppie che fanno figli, specialmente se giovani: assegni periodici, sgravi fiscali, introduzione di un divisore che ripartisca il patrimonio familiare in base ai figli presenti, creazione di strutture gratuite di "supporto alla genitorialità", (asili e quant'altro). Si devono crare nuovi posti e occasioni di lavoro per i giovani, oltre a rivedere i percorsi di studio, per metterle i nostri ragazzi in condizione di essere formati ed indipententi il prima possibile.
I soldi, però, da soli non bastano. Bisogna lavorare sulle menti degli italiani affinché possano cambiare approccio riguardo l'idea stessa della genitorialità. Essere padri o madri deve tornare ad essere un privilegio, così come la notizia di un bimbo in arrivo "un dono del Signore", (come si dice tradizionalmente), anziché una iattura, (per usare un termine aulico buono per rimpiazzare le imprecazioni che sovente si dicono in quel caso).
Se così non sarà, il nostro amato Paese non avrà più un futuro. Da qui un mio piccolo appello soprattutto alle donne: abbiate il coraggio di essere madri. E un altro agli uomini: non fatevi spaventare dalla responsabilità di essere padri. Perché quelle culle piene e i vagiti, le grida ma anche le innocenti risate che vengono da esse valgono molto più di una soddisfazione personale o di un primato sul lavoro; anzi sono la più grande delle soddisfazioni personali e l'unico primato che conti sul serio: "il primato della Nazione, il primato della vita" (cit.).
Roberto Marzola.
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