La crisi in Italia non è solo economica. Comincia dall’uomo,
anzi dagli uomini e, inevitabilmente, va a contagiare la politica la quale,
anche etimologicamente, rimanda alla vita pubblica e, quindi, agli uomini,
considerati da un punto di vista consociativo. Non ci vuole certo un genio per
capire chi e cosa siano gli italiani: un popolo di pecoroni, di ignavi. Dico
ignavi perché lo Stivale di questi tempi assomiglia ad un vero e proprio
scenario dantesco: un gran frastuono, creato da lamenti di dolore e scatti d’ira;
una massa informe di anime perse, nessuna delle quali in grado di prendere una
posizione o di fare alcunché per migliorare la propria posizione; una sorta di
gran cerimoniere, (nel nostro caso, Monti), intento a reggere una bandiera con
su scritto: “spred & austerity”, che tutti devono rincorrere; dei mosconi,
delle api e dei vermi di ogni nazionalità che punzecchiano gli italiani e ne mangiano le
lacrime. Insomma, delle creature immonde, che nemmeno l’inferno vuole.
E la politica -come si diceva- non può che adeguarsi a
questo clima da antinferno,(già, perché quello vero, secondo me, ancora deve
venire!). Abbiamo uno stuolo di banderuole, disposti a cambiar bandiera secondo
la convenienza politica, anzi, secondo il possibile conto elettorale: ex neri
disposti a scendere a patti con rossi sbiaditi; bianco-rosso-crociati che, come
da tradizione, hanno sempre il proverbiale piede in due scarpe; liberali d’ogni
sorta incapaci di prendere una decisione, perché l’importante è che “se magna”.
Una schiera di spergiuri che non si cura dei destini di quanti sarebbero
chiamati a governare, ma che si limita a rincorrere quello stesso cerimoniere,
(ancora Monti), portatore di quel vessillo di cui sopra, simbolo di un verbo
immondo. Ancora: una frotta di voltagabbana che genera un brusio
insopportabile, fatto di interviste e apparizioni TV tanto scialbe quanto
fastidiose per l’assoluta inconsistenza dei contenuti.
Insomma, nell’orrenda palude in cui ci troviamo-ripeto: sin
troppo simile ad un girone dantesco- è normale che quelle poche anime ancora in
grado di salvarsi si trovino disorientate, nauseate e sperdute. Anzi, sarebbe anormale e preoccupante se così
non fosse. Non si disperino, però; una via di fuga per uscire da questo inferno, per tornare a veder “l’Amor che mòve il sole
e le altre stelle”, potrebbe ancora esserci. Si tratta di un sentiero lungo e faticoso,
che parte necessariamente dalla riscoperta dell’Uomo come valore assoluto, non
come mero fattore produttivo o come singolo contribuente, (vero Marchionne?
Vero Monti?), e che porta alla costruzione di un sistema finalizzato non al
guadagno, bensì proprio alla realizzazione dell’Uomo. Un recupero, quindi, di
tutte quelle Idee che hanno fatto dell’elevazione, fisica e spirituale, dell’Uomo
un punto centrale della loro struttura, della loro gnoseologia, della propria “Ragion
pratica”. In Europa, nel secolo scorso, ne abbiamo avuto diversi esempi: dalla
Germania alla Romania, dall’Italia all’Ungheria. Pagine di storia che
raccontano di Stati intenti a nobilitare l’Uomo, nella vita vissuta tutti i
giorni e non solo in astruse convenzioni internazionali; che descrivono degli
apparati pubblici capaci di assicurare proprio all’Uomo un’esistenza libera e
dignitosa. Dei meccanismi sicuramente complessi, ma che sono stati in grado di
operare concretamente e che tanta invidia ed insofferenza devono aver provocato,
dato che si è dovuta scatenare una sanguinosa guerra planetaria per porre fine
al loro agire. Riscopriamo, dunque, le idee ed i principi alla base di quelle
esperienze, e quelli soltanto ci si leghi. Alle idee e ai principi, appunto:
punti di riferimento eterni ed immutabili, da adattare poi, volta per volta, “alla
mutevole complessità del reale”. Perché gli uomini, (specie quelli moderni),
passano, scolorano e cambiano bandiera, e di loro è bene -parafrasando- non curarsi e passare; ma le idee e i principi
restano. Essi stanno come marmo nella storia, come punti metallici su una
bussola eterna, e conducono chi sa interpretarli a porti sicuri, più che sicuri,
anche nel bel mezzo della tempesta.
Roberto Marzola.
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