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Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


martedì 12 aprile 2011

MARCHIONNE E FIOM: CI RISIAMO?

Marchionne e la Fiom. Sembra quasi il titolo di un romanzo d’appendice o, se preferite, di un thriller. Come ricorderete, tutto iniziò nel gennaio di quest’anno, allorché i due contendenti si sfidarono alle urne con l’ormai famoso referendum sindacale: da una parte il manager italo-canadese in maglione e camicia, con molti dei sindacati maggiormente rappresentativi al seguito e, dall’altra, la Fiom a giocare il vecchio ruolo del sindacato che vuole bastonare a tutti i costi il padrone, ossia “lo sporco capitalista borghese”. Allora vinse, pur con una maggioranza tutt’altro che schiacciante e tra mille polemiche, il “sì”: la Fiat restò in Italia, Mirafiori ebbe la promessa di avere la manodopera per le sue manovalanze e il sindacato ribelle fu costretto a rientrare nei ranghi.
Questo è ciò che è finito negli annali. Un’altra pagina, tutt’altro che gloriosa, nella storia delle relazioni tra sindacati e imprenditoria in Italia. Storia che, malgrado il terribile puzzo di stantio e la mendace ipocrisia di fondo, riesce ancora ad eccitare qualche barbuto ed occhialuto veterocomunista, evidentemente nostalgico del clima degli anni di piombo e dell’agitazione sindacale.
In questi giorni sembra possibile la scrittura di un nuovo capitolo. Forse non tutti lo sanno perché la notizia è ancora stata data in sordina. Stavolta non c’è Mirafiori, ma l’ex Bertone. La Fiat vorrebbe investire circa 500 milioni di Euro, (non proprio bruscolini!),per produrre un nuovo modello Maserati in collaborazione con la gloriosa carrozzeria italiana di Torino, già in autrice in passato di modelli storici come le Alfa Romeo 6c 2300, Giulietta,(la familiare che vinceva le corse), 2000, GT,Montreal, le Lancia Aprila e Aurelia, alcune delle Fiat 500, 1100 e altre, diverse Lamborghini, (tra cui la celeberrima Miura), e Ferrari … Insomma la storia dell’azienda parla da sola. Un altro importante e glorioso pezzo d’Italia da sostenere e rendere più competitivo.
Anche stavolta, mutatis mutandis, Marchionne vorrebbe continuare sul modello Mirafiori e la Fiom, largamente maggioritaria in fabbrica, ha deciso di puntare i piedi un’altra volta. Evidentemente, non sembra vero al sindacato metalmeccanico in parola di avere la possibilità di guadagnarsi un’altra volta le prime pagine dei giornali, di uscire dal ghetto, (in cui i sindacati italiani si sono auto-reclusi a causa della loro faziosità, dabbenaggine e incapacità),per prendere una boccata d’aria. Se gli eventi dovessero continuare a svilupparsi in questa direzione, infatti, potrebbe continuare a giocare ipocritamente la parte dell’unico superstite tra i paladini dei lavoratori, (per intenderci quelli che di giorno abbaiavano contro il padrone e poi la sera ci si ingozzavano insieme a tavola!), dato che Bonanni e la Cisl sembrano inclini a scendere a patti con Marchionne. Più incerta appare, invece, la posizione tenuta dalla Cigl. La Fiom, dal canto suo, annuncia battaglia e Marchionne sembra che preferire il confronto referendario con i lavoratori piuttosto che con l’acerrimo nemico.
E così, forse, rivedremo i soliti picchetti fuori dalle fabbriche, con le polverose bandiere rosse e, temo, anche le assurde bandiere della pace. Quelle sono come il prezzemolo: te le ritrovi dappertutto. Riascolteremo i vecchi cori e rileggeremo i consueti cartelli e striscioni. Roba vecchia, in tonalità seppia e molto triste a dire il vero, giacché è solo di circostanza e con l’ideale di riferimento, in realtà, non ha proprio nulla che vedere.
Per contro, il manager originario dell’Abruzzo,(che a dire il vero ha i numeri dalla sua parte, ovvero i milioni di utile netto, l’incremento vertiginoso delle vendite di Alfa Romeo, le percentuali di acquisto della Chrysler ecc.), potrà  rivestire i panni del salvatore della patria, del filantropo che preferisce ancora investire in Italia, piuttosto che sfruttare le maglie larghe offerte dal libero mercato.
Nihil sub sole novi”, insomma. E’ proprio questo il dramma: nessuno ha imparato niente dalla situazione pregressa. Marchionne vuole riaffermare il proprio potere e la Fiom è in cerca di rivalsa. Intanto, i lavoratori si caricano sulle spalle tutto il peso della situazione. E’ sulla loro pelle che si gioca l’ennesimo regolamento di conti tra imprenditore e sindacato. A loro non resta che la possibilità di mettere una crocetta su di un monosillabo, nella speranza che vengano tempi migliori. E così, mentre l’economia procede affannosamente tra vertiginosi alti e bassi, in Italia restiamo impantanati nelle sabbie mobili dell’ideologia post-marxista. Invece di rimboccarci le maniche e di remare tutti nella stessa direzione, continuiamo a dividerci tra guelfi e ghibellini, immemori della  sacrosanta lezione di chi, parlando proprio a Torino, disse che “ se la collaborazione è necessaria nei tempi facili, è indispensabile nei tempi difficili, quando ogni dispersione d’energia o di discordia è un vero e proprio tradimento consumato ai danni della patria,(inteso Fiom?ndr)”. Costui proseguiva dicendo che è altresì necessario sganciarsi “dal concetto troppo meschino di filantropia, (capito Marchionne?ndr), per arrivare al concetto più vasto e più profondo di assistenza. Dobbiamo fare ancora un passo innanzi: dall’assistenza dobbiamo arrivare alla solidarietà nazionale. Finalmente Torino deve avere il lavoro per le sue maestranze e tutto ciò che è stato creato dal coraggio,dalla tenacia e dalla genialità dei torinesi, deve restare a Torino[1]. Imparino il legislatore, gli imprenditori e i sindacati quale è lo spirito che deve animare un paese, specie in periodi di crisi economica come questa. Capiscano che la vera priorità è lavorare. Si mettano bene in zucca che i diritti, di cui tanto si riempiono la bocca, spesso e volentieri sono vere e proprie palle al piede che impediscono, di fatto, di lavorare, specialmente quando sono esclusivamente occasione di ripicche e di giochi di potere. Bisogna puntare,da un lato, sul dovere dell’imprenditore di investire in Italia e di assumere manodopera italiana e, dall’altro, sul dovere congiunto del lavoratore di prestare la propria opera con obbedienza e fedeltà,(come prescritto dal codice civile),e del sindacato di fare l’interesse del lavoratore, ossia creare occasioni di lavoro a condizioni accettabili, senza ciarlare inutilmente di diritti. Usando le parole di altri, “dobbiamo adottare un ordinamento (e una formazione) fondato sui doveri e non sui diritti. […]C’è, la differenza. E sta nel fatto che, mentre il proprio dovere si può FARE, il proprio diritto si può soltanto RECLAMARE. Ne consegue che, se tutti fanno il loro dovere, e tale è la maggior cura dello Stato, automaticamente anche tutti i diritti vengono soddisfatti, mentre, se si proclamano diritti a piene mani, e tutti li reclamano, si fanno solo cortei con cartelli e una gran confusione e intralcio al traffico (protetto da stuoli di vigili urbani), ma il popolo resta a bocca asciutta, eccettuati i sindacalisti[2].

Se non si assimilano bene questi ed altri concetti, rimarremo per sempre nella situazione attuale: divisi, rissosi, inconcludenti, eterni secondi. Se, invece, ci incammineremo lungo il percorso che essi tracciano, questo martoriato Paese forse avrà ancora una possibilità di risollevarsi perché, dopo tutto, la genialità e l’ingegno fanno pur sempre parte del nostro DNA.
Peccato che sono tra i pochi ad esserne fermamente convinto.
Peccato che questi convincimenti vengano bollati come "pericoloso nazionalismo".
Peccato che in tanti remino in direzione opposta.
Ma con quali risultati? "Cui prodest"? Ai posteri l'ardua sentenza.

Roberto Marzola.



[1] Benito Mussolini, discorso tenuto a Torino nel 1932.
[2] Rutilio Sermonti, “Testamento spirituale”.

1 commento:

  1. Bell'articolo. Concordo con le tue considerazioni e, come ebbi modo di dirti personalmente, vorrei ribadire che lo scontro politico tra gli amministratori delegati Fiat e i rappresentanti sindacali hanno danneggiato in larga parte i piccoli e medi artigiani e commercianti e il loro personale di manodopera poiché gli stipendi faraonici degli uni e degli altri li abbiamo sempre pagati noi con continue iniezioni a fondo perduto di denaro. Così come abbiamo pagato noi le esose giornate improduttive a causa dei continui scioperi.

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