Prima di esprimermi, devo fare una premessa, (per quello che può valere): non sono “omofobico”, come va di moda dire ora. Lo dico per tagliare le gambe ai signori che occupano il 90 e più percento dei media, ai feudatari dell'opinione pubblica, ai tiranni della morale. Insomma, a tutta quella gente che pretende di affibbiare, spesso in maniera assolutamente gratuita, sterili etichette, nonché di imporre ragionamenti a compartimenti stagni, in base ai quali "siccome sei questo, allora devi essere per forza anche quest'altro", senza che sia possibile obiettare alcunché. Voglio metterli a tacere perché è comodo e vigliacco creare mostri per cercare di nascondere la pochezza delle proprie idee e la propria intolleranza. Un giochino che ha funzionato per troppo tempo e che deve finire.
Sgomberato il campo da possibili equivoci, posso finalmente iniziare. E comincio dicendo che ormai il matrimonio tra omosessuali è cosa fatta. Gli hanno spianato la strada il Parlamento europeo prima e la magistratura poi. Nel giro di qualche anno assisteremo ai matrimoni con due frak o con due abiti bianchi. Lo impone il mito dei "diritti uguali per tutti". Diritti: sempre e solo diritti. E' facile e d'impatto parlare di “diritti”. "Diritti" è una parola che fa godere l'udito; parlare di doveri, invece, fa storcere il naso. Eppure bisogna farlo, perché persino un qualsiasi deficiente che abbia un qualche rudimento di diritto di famiglia, (a cominciare dal sottoscritto), o che abbia sfogliato il codice civile, sa benissimo che il matrimonio comporta diritti e doveri. Lo dice l'art. 143: "Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri". Poi chiarisce quali siano questi doveri: "Dal matrimonio deriva l’obbligo alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia". L'art. 147, quindi, indica i doveri verso i figli: " Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli ". Doveri che la legge pone per garantire, proprio attraverso il matrimonio, la creazione di una famiglia; quella stessa famiglia che l'art. 29 della Costituzione definisce e riconosce come "società naturale fondata sul matrimonio", ossia come unione di persone di sesso opposto che si uniscono, magari per generare uno o più figli. Alla famiglia, poi, si applicano tutta una serie di altre norme, a cominciare dalle norme tributarie che consentono di alleggerire il carico fiscale dei coniugi.
A questo serve il matrimonio: a creare dei figli, a donare un futuro al Paese e al mondo, a generare vita, a dare continuità umana ed ideale. In quest’ottica si giustificano tutte le tutele poste a presidio del matrimonio, molte delle quali riguardano proprio i figli. Così si spiegano le norme ereditarie, che garantiscono il coniuge ed i figli, (lasciando peraltro impregiudicata la possibilità di destinare la quota disponibile a chiunque desideri il de cuius, nonché quella di trasferire beni per via contrattuale, ragion per cui, le coppie omosessuali potrebbero praticare proprio questa strada). Allo stesso modo si legittimano gli sgravi fiscali.
Per quale ragione, dunque, dovremmo snaturare l’istituto del matrimonio, consentendo l’accesso anche alle coppie omosessuali, che si differenziano da quelle eterosessuali per il fatto, (decisamente non trascurabile!), che sono incapaci di mettere al mondo dei figli e, quindi, non possono godere della ragione principale di così tanti istituti di favore? Sarebbe un abominio, un’assurdità etica e logica: etica perché porrebbe in secondo piano la tutela della vita, soppiantata dal desiderio di emancipazione di una minoranza; logica perché verrebbe contraddetto il principio di proporzionalità, (insito nell’art.3 della Costituzione), secondo cui situazioni uguali devono trattarsi in maniera uguale, e situazioni differenti, devono trattarsi in maniera differente.
Ma vi è di più: si annullerebbe la stessa differenza tra uomo e donna; tutto si appiattirebbe sulla smisurata considerazione di un essere androgino che dà più importanza alla denuncia dei redditi e alle successioni testamentarie che ai bambini. Lo dico senza cattiveria! Pensateci: se si ammettesse la reversibilità della pensione per il partner omosessuale, lo scarico fiscale e tutto il resto, di quante e quali misure di sostegno potranno beneficiare le coppie con figli a carico? Assegni sempre più risicati, deduzioni sempre minori. Questo è, purtroppo.
Finiamola, dunque, con questa autentica follia. Non diamola vinta a chi vuole semplicemente il riconoscimento di uno status fine a sé stesso; non tolleriamo che una sparuta minoranza, (amplificata da una casta di tromboni moralisti e moraleggianti), possa imporre le sue egoistiche convinzioni; non permettiamo a certi signori di fare della sessualità e dell’amore una questione di mercato. Già, perché c’è anche questo da dire: l’omosessualità è spesso espressione di una sessualità mercificata, un mezzo per attrarre consumatori e per vendere beni di consumo. Invece, amore e sesso dovrebbero significare anche e soprattutto vita. Occupiamoci della famiglia, messa a repentaglio dalla crisi economica, della natalità che rasenta lo zero, dell’istruzione dei bambini e della loro educazione: questi sono i veri bisogni del Paese. Lasciamo gli omosessuali liberi di vivere la loro vita, di innamorarsi, di convivere, di viaggiare insieme al proprio partner, di uscire a cena fuori e di fare qualunque altra cosa vogliano. Una sola preghiera rivolgo a questi ultimi: siate voi stessi e fieri di essere ciò che siete, senza esibizioni e, soprattutto, senza “usurpare”il ruolo di nessuno. Credo sia questo il miglior riconoscimento; questa la più grande “battaglia di civiltà”.
Roberto Marzola.
poche storie, roberto, la famiglia tradizionale non si tocca. non siamo noi a doverci difendere ma loro a vergognarsi. vergognarsi per le oscenità che portano nelle nostre strade con le loro mefistoliche adunate. quelle che ormai, quasi tutti, chiamano festa dell'orgoglio gay. vergognarsi per voler proporre la coppia (2 elementi) uguale alla famiglia (complessità di elementi). vergognarsi per pretendere figli non concepiti, senza che uno dei due abbia accettato che il corpo si deformasse per 9 mesi fino a "...partorire con dolore....". vergonarsi per la pretesa di voler essere madri in offesa a quelle che lo sono. a quelle donne alle quali lo stato sociale riconosce poco o nulla. lo stesso stato che tra poco si troverebbe altre "barbutissime mammine" a pretendere aiuti e sostegni, ferie di maternità, permessi per allattamento, malattia per stress post....adozione. ma via, cerchiamo di essere seri! la loro devianza non deve e non può ricadere su chi risponde ai dettati della natura. un uomo + una donna + eventuali figlio/i = famiglia naturale. un omosessuale + un altro omosessuale = due omosessuali. liberi di esserlo ma senza pretese ne privilegi. senza scandalose ostentazioni. personalmente proverò sempre ribrezzo nel vedere due baffuti pederasti "limonare" o due lesbiche "saffeggiare" pubblicamente. ma io sono io. sono diverso anche io. non sono omologato, non sono moderno, non sono democratico. forse sono omofobico ma certamente sono un uomo che vive il piacere di una moglie e di due figlie. come era una volta. come era quando l'esibizione di omosessualità serviva solo per accedere alle fila dei mercenari del piacere deviato e decadente. altro che famiglia............!!! un virile saluto, caro roberto.
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