Questa non è e non vuole essere una ricostruzione storica
degli avvenimenti legati alla giornata dell'8 settembre 1943. Del resto, di
quei giorni c'è ben poco da dire: vi fu chi stravolse patti ed alleanze
per salire opportunisticamente e vigliaccamente sul carro dei futuri vincitori,
(sebbene questi avessero sin da allora interessi tutt'altro che convergenti con
quelli nazionali), e chi, piuttosto, scelse di rimanere fedele all'impegno
preso e alla parola data, nonostante fossero già percepibili nell'aria
foschissimi presagi, malgrado ciò volesse dire trovarsi soli a lottare contro
tutto e tutti, senza nemmeno curarsi dell'ineluttabile destino di morte che si
profilava all'orizzonte. Chi, insomma, scelse di continuare la battaglia per
difendere l'onore, un'idea, un sogno chiamato Patria, per alimentare quel
desiderio di poter scegliere il proprio destino, il proprio avvenire. Né il
calore degli affetti familiari, né la paura della morte poterono frenare l'ardore e
il desiderio di combattere ancora, di gettare il cuore oltre l'ostacolo,
mostrati da quei ragazzi e da quelle
ragazze. Dirà Pio Filippani Ronconi in
una famosa intervista tv: "in quei giorni c'era il culto della morte, anzi di morire
accanto al proprio re; bisognava superare il rito di saper fronteggiare qualsiasi
circostanza, persino quella di non essere più vivo".
E allora partirono quei ragazzi, incuranti della propria
sorte sciagurata e del proprio destino. Anzi, parafrasando le parole di Mario
Castellacci, (autore di una suggestiva e privatissima poesia romanesca dedicata
alle prime ore della Repubblica Sociale Italiana), quei ragazzi erano già lì,
anche senza di Lui, sebbene la Storia racconti che risposero all’appello di
Mussolini e corsero a Salò. Ed erano sulle rive del lago- citando ancora
Castellacci- “fi dar tramonto/ de quell’otto
settembre. Puntuarmente. /Stavamo tutti là pe’ dì: ‘Presente!’/ Io ce so’, so’
itajano, e pago er conto. / La guerra è persa? E’ disparo er confronto? /E’finita?
Nun vojo sapè gnente. / M’interessa l’onore solamente/e si me tocca da morì so
pronto”. Parole semplici ma, al tempo stesso, profondissime, che la dicono
lunga sull’incomparabile spessore umano, culturale e politico di quei ragazzi e
di quelle ragazze di appena vent’anni, tanto giovani eppure così consapevoli
del loro ruolo, del valore della loro identità, di quel leggerissimo peso di
essere italiani veri, di cosa voglia dire appartenenza, senso del dovere e
capacità di sacrificio. Parole poi trasformate in azione, in strenua
resistenza, in un beffardo e seducente ghigno alla morte o in gesti estremi,
come ad esempio quello del colonnello
Rabbi della divisone Ariete il quale,
non volendo combattere contro l’alleato tedesco, si tolse la vita. Parole e gesti
che trovarono ammirazione persino tra le linee nemiche, perché sapevano d’onore,
di ideale, di un ammirabile e lucente sacrificio contro il cupo cinismo e la
tetra codardia mostrata dal Re e dai suoi sodali. Illuminante, in tal senso, il
pensiero del generale alleato Eisenhower, che a proposito dell’8 settembre, disse:
“La resa dell'Italia fu uno sporco
affare. Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre
perse, ma l'Italia è la sola ad aver perduto questa guerra con disonore,
salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della RSI”. Una
sincera ammirazione per quegli avversari che cadevano a cento e a cento sotto
il tiro delle mitragliatrici al grido di “Viva l’Italia”; una condanna senza
possibilità d’appello, invece, per chi accettò di consegnare il paese nelle
mani nemiche, senza nemmeno combattere o, peggio, rifugiandosi sui monti.
A questi ragazzi morti troppo presto e a quelle ragazze
divenute donne troppo in fretta rivolgo oggi il mio pensiero. A loro che furono
capaci di “trasformare le idee in azioni”; a loro capaci di diventare eterno ed
imperituro esempio; a loro che, malgrado l’oblio dei presenti, seppero vincere
eroicamente la morte, accettando di donare la vita all’Italia col sorriso sulle
labbra.
Roberto Marzola.
caro roberto trasudi di dna italico, mai un dardo a vuoto. hai centrato ancora una volta il target. "lo spessore umano, culturale e politico di quei ragazzi e quelle ragazze di appena venti anni..." la partita si chiude qui, non altro c'è da dire. "...malgrado l'oblio dei presenti... a questi ragazzi morti troppo presto..." è per questi che dell'azione fecero il loro dire che mi accomuno al tuo riconoscimento del loro eroismo. parimenti ad un nemico più onesto di tanti disonesti italioti. eja-eja.
RispondiEliminaGrazie per la stima e per i complimenti, Nino! Anche se ti confesso che se guardo alla situazione dell'Italia di oggi, mi sento indegno di ricordare quei giovani e quelle giovinette. Loro, infatti, non esitarono un attimo a lanciarsi contro le baionette nemiche; noi, invece, abbiamo paura di sfidare dei semplici passacarte. Dovremmo vergognarci!
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