BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


giovedì 2 giugno 2011

EUGENIO SCALFARI: LA CIALTRONERIA A SINISTRA

Se c'è una convinzione che esprimo spesso, (anche dalle pagine di questo blog), è che la cultura, presa di per sé, non è né di destra né di sinistra. Ritengo che essa sia un concetto pre-politico, a cui la politica stessa dovrebbe guardare con occhio ammirato ed imparziale. 
Mi pare una considerazione piuttosto semplice; direi quasi scontata. Tuttavia, viviamo in Italia, Paese in cui l'ovvio diviene impossibile.
E allora si assiste, purtroppo, ad una sceneggiata, (tutta da ridere), in cui una parte politica precisa, per mezzo dei suoi barbuti esponenti da salotto, pretende di dare lezioni a tutti su tutto: dalla storia all'arte figurativa, dalla letteratura alla filosofia, dall'economia alla musica. In Italia, non si sa bene per quale teorema, tutto da dimostrare, l'intellettuale è per definizione di sinistra; chi non milita a sinistra o è un ciarlatano e/o un ignorante. Punto.Tertium non datur.
Personalmente, questa panzana non l'ho mai mandata giù; anzi, ho sempre sostenuto il contrario: spesso e volentieri dovrebbero essere rimandati a settembre proprio i sedicenti intellettuali , se solo vigesse una logica meritocratica. La lista dei possibili ripetenti è lunga, a cominciare dall'astro nascente Saviano, stimata mente di sinistra con qualche lacuna in grammatica. Stavolta, però, a fare una figura non proprio edificante è un decano della carta stampata: Eugenio Scalfari, padre e padrone del quotidiano "La Repubblica".
Ogni suo scritto nell'italico soviet della (in)cultura, viene spacciato per un'opera d'arte. Magari tra qualche tempo ci troveremo ad ammirare pure la sua lista della spesa. Chissà, tutto è possibile!
Di recente, ha compiuto un'altra fatica letteraria circa il rapporto tra eros e ragione. Una vera e propria "perla" che tutti i salotti snob del Paese hanno pubblicizzato, chi più e chi meno, tanto da mettermi la curiosità di leggere qualche recensione e qualche commento. Ve ne propongo uno che ritengo spassoso ed autorevole. Non mi dilungo oltre e lascio a voi ogni altro giudizio. Mi limito semplicemente a dire: "quod erat demonstrandum".

Buona lettura,


Roberto Marzola.


Impossibile non stroncare il libro di 

Eugenio Scalfari

Man mano che leggevo mi chiedevo: ma che roba è? Più sciampista che filosofo il fondatore di Repubblica scivola sul triangolo (isoscele).


Ho comprato l’ultimo libro di Euge­nio Scalfari. Avrei voluto scriverne bene per tante ragioni: per avviare in modo unilaterale e cavalleresco la civiltà del dialogo, per dimostrare che noi siamo signori, e a differenza loro leggiamo e re­censiamo le loro opere, e quando c’è ta­lento e bellezza per noi non conta di che parrocchia sei; per distinguere il polemi­sta dall’umanista e dire che i tempi ci di­vidono ma il pensiero vola più alto. Avrei voluto scriverne bene anche per il rispetto che ho già espresso verso un ve­nerando duca del giornalismo, gran di­rettore che ha inventato un quotidiano di successo. Ero stato invogliato al libro di Scalfari dal bel titolo saffico (Scuote l’anima mia eros, Einaudi) e dal coro di recensioni in sua gloria. Non tanto quelle prevedibili della Casa, La Repubblica e il gruppo annesso, ma dal Corriere della sera, i peana in tv, le marchette di Fazio, le seratone dedicate a lui, con resoconti salmodianti, i saloni del libro.
Man mano che leggevo però mi chiedevo: ma che roba è, cosa pretende di essere? Cenni di teologia e filosofia, letteratura e poesia, musica e autobiografia in una chiacchiera da sa-lotto (ah, il solito salotto snob che non avrei voluto citare ma qui c’è, in tutto il suo dorato vaniloquio). Una messa cantata a se stesso con un tono da Maestro di color che sanno. Né pathos né pensiero. Asserzioni dilettantesche del tutto infondate e inspiegate si alternano a ovvietà imbarazzanti. Cito a grappolo e a esempio: «Le mitologie, le religioni, le culture che hanno affrontato il tema degli istinti hanno avute tutte come motivazione profonda la ricerca dell’assoluto»; ma non è assolutamente vero, da Aristotele agli illuministi, dai positivisti a Schopenhauer e Nietzsche fino a Freud hanno trattato degli istinti senza ricercare l’Assoluto. Oppure: «Potere e tristezza sono i due elementi dominanti dell’epoca che stiamo vivendo »; ma davvero il potere «dominante» è una novità della nostra epoca? O la tesi che nessun poeta moderno «ha sentito Eros camminargli sul cuore», ad eccezione di Garcia Lorca: ma scherziamo? Da Leopardi e Foscolo al romanticismo inglese e tedesco, dalla poesia francese alle poetesse russe, dai decadenti ai crepuscolari fino agli ermetici sono fiumi di poesie moderne e contemporanee sull’amore. E Scalfari sostiene che la modernità ha messo in fuga Eros... E ancora, secondo Scalfari «la trasgressione è cara agli dei» quando invece tutta la mitologia è piena di punizioni divine, l’ hybris , la trasgressione. I trasgressori vengono dannati dagli dei all’inferno, ridotti a piante o animali, tormentati e maledetti... O sciocchezze del tipo: «La mistica cristiana vive un rapporto di coppia nel rapporto con Cristo». O errori elementari come quello sul triangolo amoroso: «Si tratta di un triangolo isoscele nel senso che pende più da una parte che dall'altra »: se è isoscele ha due lati e due angoli uguali, se pende più da una parte non è isoscele ma scaleno (scuola dell’obbligo). Apprendiamo poi che «nel Settecento la valutazione dell’interiorità è ancora allo stato nascente» (si vede che da Agostino a Pascal avevano solo scherzato). O la formidabile scoperta scalfariana «dell’istinto di sopravvivenza della specie»; l’aveva fatta un po’ prima di lui Schopenhauer, ma Scalfari qui ricorda una gag di Peppino De Filippo che inventava brani musicali già celebri da secoli. Scalfari poi ci spiega finalmente che l’Essere di Heidegger è nient’altro che eros, ma non «quello di Parmenide sempre simile a se stesso ma quello di Eraclito che si realizza in continuo divenire». A veder confuso l’essere con l’eros,e il suo pensiero parmenideo con Eraclito,Heidegger si sarebbe gettato nel Reno. O banalità del tipo: «A me sembra che la nostra vita sia dominata dall'istinto di sopravvivenza » (ma davvero?) «l’infanzia è l’innocenza» (ma dai), «sono innocenti gli animali perché vivono secondo la loro natura senza consapevolezza» (ma sul serio?). «La desideranza che ci pervade coincide con la vita. Desideriamo la vita perché sappiamo che moriremo» (ma non mi dire). «Trovo molto significative sia le parole del Getsemani sia quelle del Golgota» (ma no, in duemila anni nessuno aveva dato peso alle parole di Gesù). E poi citazioni dannunziane di tre pagine e insensate autocitazioni dal proprio romanzo ancora più lunghe. Per finire: «Se volete un gergo più filosofico: l’ente che io sono è stato colorato di Eros»; no, questo non è gergo filosofico, è solo tintura. Come definire la filosofia erotica di Scalfari? Direi sciampismo. Tanto sapone, nessuna sostanza. Pensiero ridotto a chioma; non psicologia ma tricologia. A questo punto meglio Luciano De Crescenzo che vuol dilettare con la filosofia e non ergersi a maestro. Non ho antipatia per Scalfari, anzi. E non ce l’ho con lui; ognuno, me compreso, ha un gran giudizio di se stesso. Lui confessa la sua boria e boriosamente la ribattezza «albagia», per nobilitare pure la presunzione. Ma capisco e rispetto comunque il gran giornalista e la sua età; anzi, all’inverso dalle mie intenzioni, dopo il libro ho rivalutato il giornalista rispetto all’umanista. Quel che non sopporto è questa repubblica delle lettere così falsa e così cortigiana che incensa senza leggere o legge senza il minimo senso critico. Ma possibile che nessun filosofo o scrittore, nessuna libera intelligenza, senta l’impulso onesto di indignarsi davanti a queste venerate imposture e insorga per restituire verità a persone, idee e autori? L’atroce domanda che poi sorge, che sconforta e consola al tempo stesso, è: quante opere acute e profonde dove si avverte il respiro della bellezza, il tormento dell’intelligenza e il soffio della vera cultura vengono negate e ignorate mentre si esaltano i palloni gonfiati? È quello che fa rabbia, non la canuta albagia di un distinto signore in età grave. 
Marcello Veneziani 

martedì 31 maggio 2011

E’ POSSIBILE UN DIALOGO TRA DESTRA E SINISTRA?

A  Roberto B. G.  , fedelissimo Camerata.

E’ il caso di trattare anche questo argomento: i rapporti tra destra e sinistra; anzi tra certa destra e certa sinistra.
Non lo faccio volentieri, sia bene inteso. L’ho detto e scritto urbi et orbi: per me destra e sinistra sono realtà morte e sepolte, assassinate dal capitalismo cinico e spietato. Tuttavia, mi tocca scendere nel campo del nemico, perché mi sono rotto davvero i coglioni, (fatemi passare il “francesismo”), di farmi prendere in giro da certa gente, che parla di dialogo ma è la prima a non volerlo fare, né forse può farlo, dato che dimostra di ignorare che, per dialogare, bisogna essere almeno in due ed è altresì necessario conoscere ciò di cui si sta parlando.
Per questi signori, infatti, dialogare non significa “conversare”, “discutere”, “parlare insieme”, come la lingua italiana vorrebbe; no, per loro significa “abiurare”, “rinnegare”, “ripudiare” e “smentire”. Devi liberarti in toto di qualcosa e convergere nella direzione che indicano se vuoi dialogare con loro; altrimenti cambia strada, lasciali in pace, perché non gli interessa farlo.  Automaticamente diventi un troglodita, un ignorante, un cafone, un soggetto  che è bene tenere alla lontana.
Certa gente non è neppure sfiorata dal dubbio che, magari, si possa avere le proprie certezze, le proprie ragioni e che le simpatie per certe posizioni siano determinate da scelte ideali e da un diverso approccio alla realtà presente, passata o futura. No: al contrario, essa è la detentrice della verità rivelata e, come tale, incontrovertibile. Il mondo è come dicono loro. Punto. Non sono ammesse repliche. Prendere o lasciare. Se osi contraddire sei uno sporco “revisionista”, un “negazionista” e, magari, pure un terrorista in fieri.
Bello, vero? Direi che è praticamente l’essenza del concetto democratico, di cui si erigono a difensori e che pretendono di spiegare ed insegnare agli altri.
Ma lasciamo stare l’incoerenza e la spocchia. Soprassediamo a queste pur imperdonabili carenze, dato che ve ne sono altre ben più gravi.
E cominciamo dalla prima, ovverosia l’oggetto delle pretese abiure: il Fascismo e tutto ciò che sia ad esso riconducibile, in maniera diretta o mediata. Ad una simile richiesta non si può che rispondere con  un “no” secco, perentorio e categorico. Le ragioni sono molteplici e necessitano di una profonda ed imparziale conoscenza dei fatti di quegli anni che, soprattutto a sinistra, manca del tutto. Conoscono solo la vulgata resistenziale, cementata da qualche idiota che per ambizione di poltrona ha coniato pure l’espressione “male assoluto”.  Studino, allora, i signori se vogliono dialogare; approfondiscano certe tematiche; si tolgano le fette di salame dagli occhi e siano pronti ad ascoltare. Magari scopriranno che affermazioni del tipo “Mussolini ci ha portati in guerra” , “la collaborazione massiccia coi tedeschi ”, “la creazione del disastro” et similia, sono null’altro che gravi inesattezze, se non  autentiche falsità storiche, appositamente messe in circolazione per colpire e criminalizzare l’avversario. Di esempi ne potrei fare a iosa; così tanti da riempire per mesi questo blog. Potrei dire che a causare il secondo conflitto mondiale furono proprio francesi, inglesi e russi: lo fecero prima imponendo delle condizioni di pace assolutamente vessatorie per la Germania con il Trattato di Versailles del 1919. Lo fecero dopo creando ad arte il casus belli della Polonia, (terra in cui si consumarono persino atroci massacri sulla popolazione di origine tedesca), e con il tentativo di aggressione alla Germania da parte della Russia, cui Hitler rispose con la guerra preventiva. Così come potrei parlare delle tante altre ragioni che provocarono lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e che non stanno, come la versione edulcorata della storia convenzionale vorrebbe, tutte nella “follia di Hitler”o nell’ “opportunismo di Mussolini”, come se quest’ultimo avesse potuto schierarsi con chi voleva spazzare via il suo progetto politico o rimanere neutrale!  Versioni che non spiegano ma, ripeto, semplicemente si prestano allo scopo di criminalizzare; a cui solo dei soggetti in assoluta e profonda mala fede possono credere fino in fondo. Situazioni delle quali, arrivati a questo punto, mi vedrò costretto a scrivere in futuro.
Non ci sono solo ragioni storiche; ci sono aspirazioni, ideali, progetti politici precisi, un profondo orgoglio ed un enorme senso di appartenenza. Ritengo sia una fesseria di immani proporzioni pensare di tagliare il filo che lega uno o più uomini al loro passato; men che meno  si può privare una parte politica delle proprie radici e della base ideale e culturale di riferimento. Sarebbe una castrazione, un’alienazione, un incredibile impoverimento che non porta a nulla, se non ad un appiattimento su posizioni grigie e scontate che, del resto, si conciliano benissimo con lo sterile parlamentarismo e con l’improduttiva retorica democratica di cui certi signori sono sostenitori. In fondo questo è ciò che vogliono: un avversario disarmato e ammansito, che li assecondi nelle loro decisioni e collabori ai loro progetti in maniera completamente remissiva. D’altronde, un simile rivale giammai potrebbe mettere in “pericolo” i traguardi che hanno raggiunto. Se poi questi traguardi sono un fallimento totale, cosa importa? Sono narcisi per definizione: amano passare la vita intera ad ascoltare i loro discorsi altisonanti, fatti di paroloni spesso insensati, banali e melliflui, e ad ammirare la loro immagine riflessa, incuranti del pericolo di essere vittime del loro stesso eterno compiacimento; sono, insomma, incapaci di affrontare un qualsiasi problema in maniera concreta e pragmatica, perché la loro attenzione è sempre distolta da altro.
Dicono poi di volere “una destra europea”, ma dimostrano per l’ennesima volta di non sapere neanche di cosa parlano. La destra europea, infatti, sta andando in una direzione precisa, molto più vicina a posizioni radicali e ben definite come le mie, che non a quelle che questi signori auspicano. Una destra europaea in cui domina la croce celtica, in cui, talvolta, riappare persino il nome del Fuhrer. Confermano, insomma, di parlare tanto per dare fiato alla bocca e per dissimulare le loro reali intenzioni.  Ma c’è da dire anche un’altra cosa: la Destra, quella vera, quella con la “D” maiuscola, ha ben altro concetto di Europa, assolutamente antitetico alla loro visione demo-plutocratica; un progetto che respinge con forza l’idea di un’Unione Europea ingabbiata in un disegno economico, in una logica di capitalismo sfrenato e senza regole, e che preferisce parlare agli europei di lingua, cultura e tradizione, per creare quell’Europa dei Popoli e delle Tradizioni, di cui ho già scritto. Mi paiono realtà stridenti, delle quali si può anche discutere, ma che tendono pur sempre ad essere autoescludenti.
Resta, infine, un’altra loro caratteristica ed è quella che mi dà più fastidio: l’idea di un necessario compromesso, la loro logica “transattiva”. Tu fai una concessione a me, io ne faccio una te, (lasciamo stare poi la “misure” di queste concessioni, che sono totalmente sproporzionate). Un qualcosa che mi lascia letteralmente senza parole, anche perché mi provoca dei gravi conati di vomito. Siamo arrivati alla logica di scambio anche sul piano ideale, non solo su quello della bassa bottega politica. Riuscite a capacitarvene? E perché, di grazia, dovrei fare concessioni a chicchessia? Il tempo degli inciuci e delle strette di mano sottobanco deve terminare!  Fino a prova contraria poi, io so chi sono, cosa voglio e come fare per realizzarlo. Se vuoi contribuire a realizzarlo con me mi sta bene; ma se vuoi dialogare solo per mettermi i bastoni tra le ruote, a me non interessa farlo.  In quel caso preferisco marciare da solo o, comunque, in compagnia di chi la pensa come me.
Rendetevi conto di chi è certa gente, (anche se per fortuna debbo dire che non sono tutti così!), e di ciò che vi sta chiedendo: una totale sudditanza umana, politica, sociale, ideologica, etica, morale e culturale; una resa incondizionata; un asservimento a 360° al sistema che dicono di combattere, ma in cui sguazzano come porci, (absit iniuria verbis!). Tutt’altro che le migliori premesse per un dibattito sereno e costruttivo, che sono loro i primi a non volere.
Non fatevi dunque ingannare dalle loro richieste in tal senso: per loro, infatti, dialogo non significa confrontarsi, pur mantenendo le proprie differenze, bensì arrivare ad un punto preciso, che sono soltanto loro a dettare. Non hanno interesse a misurarsi con voi;  vogliono solo la vostra definitiva estinzione e si limitano a chiamarla con un altro nome. La sostanza però non cambia.
Io vi ho messi in guardia dal pericolo; come si suol dire: “uomo avvisato, mezzo salvato”.           
Roberto Marzola.

"Vent'anni di Fascismo nessuno potrà cancellarli della storia d'Italia. [...]
Io andrò dove il destino mi vorrà, perché ho fatto ciò che il destino mi dettò".
Benito Mussolini, Testamento Politico.

sabato 28 maggio 2011

UDITE UDITE: CONDANNATO L’EX GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA

Questo 28 maggio 2011 potrebbe essere una data da consegnare alla storia: i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Milano hanno infatti condannato l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio ad anni 4 di reclusione e al pagamento di € 1,5 milioni per aggiotaggio[1]. Per chi non lo sapesse,  trattasi di un reato previsto dall’art. 501 del codice penale e che consiste, in buona sostanza, nell’alterare il mercato interno dei valori o delle merci con false informazioni al fine di trarne un profitto. In più gli è stata inflitta la sanzione accessoria ex art. 28 c.p. , ( interdizione dai pubblici uffici), e il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione per due anni.
Una sentenza pesante che chiude, (forse), il triste capitolo di scandali finanziari conosciuto come “Bancopoli”.  L’ennesima sconcezza bancaria si era aperta durante l’estate del 2004, quando diverse banche straniere ed italiane chiesero alla Banca d’Italia l’autorizzazione per acquisire quote via via crescenti del patrimonio azionario di Banca Antoniana Popolare Veneta, (d’ora in poi Antonveneta). Oltre a quest’ultima, anche la Banca Nazionale del Lavoro fu oggetto di simili attenzioni. Così, a partire dal mese di marzo vennero lanciate diverse offerte pubbliche di acquisto e di scambio per tentare la scalata ad Antoveneta. Lo scontro tra banche straniere ed italiane fu piuttosto serrato, tanto che i tentativi fallirono e la Procura di Milano aprì un’inchiesta, inizialmente contro ignoti, per l’ipotesi di aggiotaggio. Secondo gli inquirenti nel «novembre 2004 sarebbero stati effettuati acquisti di titoli per circa 500 milioni di euro, in modo da spingere il prezzo delle azioni Antonveneta sopra a quello dell'Opa di 25 euro,(aggiotaggio manipolativo), impedendo alla banca Abn Amro di effettuare altri acquisti di azioni, pena il rilancio dell'Opa al nuovo prezzo»[2]. Inoltre, 18 imprenditori , in virtù di un patto parasociale occulto, sarebbero stati «finanziati dalla Bnl con 552 milioni di euro per rastrellare il 9,48% delle azioni Antonveneta»[3]. Il consiglio di amministrazione di Antonveneta venne sciolto e le sue azioni poste sotto sequestro. Lo scandalo esplose fino a coinvolgere, (oltre a quel “furbetto” di Ricucci), il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. 
Chi, invece, riuscì a salvarsi fu Piero Fassino, il quale  durante una telefonata chiese a Consorte, (coinvolto nelle indagini), se “avessero una banca”. La Magistratura non ritenne di dovere indagare oltre; fatto sta che da quelle intercettazioni comparirono « i nomi dei parlamentari: Piero Fassino e con lui, tra gli altri, Nicola Latorre, senatore ds assistente di Massimo D' Alema. E poi il tesoriere ds, Ugo Sposetti»[4]. Ma, si sa, i sinistri sono maestri ad aggirare gli scandali e nel sottrarsi alle grinfie della Magistratura. Chissà come faranno? D'altro canto, se così non fosse, non potrebbero più giocare il ruolo degli "immacolati" e allora, mi domando, cosa resterebbe loro, se non l'estinzione?

Ad ogni modo, questa è la concatenazione di eventi che ha portato alla storica sentenza di oggi. 
Storica perché è la prima volta che un Governatore di una Banca viene condannato con una sentenza penale. E dire che di motivi per condannarli tutti ce ne sarebbero diversi, a cominciare da quella immensa truffa mondiale che è il signoraggio, (tanto per dirne una!). 

E’ una notizia che fa ben sperare, perché alimenta la speranza che una guerra contro le lobbies bancarie forse è davvero possibile non solo nelle intenzioni, bensì in concreto.
Che sia l’inizio di un nuovo corso? Che sia l’alba di un giorno radioso in cui riusciremo finalmente a liberarci di quel nemico subdolo, nascosto dietro le quinte del teatrino della politica, che tutto muove e tutto può?
Francamente lo spero, ma in questi casi la cautela è d’obbligo, per cui non voglio illudermi. Del resto, in più d’uno in passato hanno mosso guerra all’immonda cloaca dei banchieri, o come direbbe Pound all' "usurocrazia mondialista". Non voglio dirvi chi fossero questi coraggiosi signori, perché lo sapete già e sapete anche e come sono finiti.  Speriamo solo che stavolta il destino sia diverso…

Roberto Marzola.


P.S. Voglio darvi un indizio, qualora non foste riusciti ad identificare i signori di cui sopra. Vi dico solo che hanno finito per essere chiamati come "male assoluto".
Oggi il nome «democrazia» è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie,
se preferite una parola accademicamente corretta,
 ma forse meno comprensibile, che significa:
 dominio dei prestatori di denaro. (da Valuta, lavoro e decadenze) Ezra Pound


[1] http://www.ilgiornale.it/cronache/scalata_antonventa_condanne_4_anni_fazio_3_consorte/economia-cronaca-giustizia-antonveneta-scalata-condanna-aggiotaggio-fazio-fiorani-consorte-grillo/28-05-2011/articolo-id=525961-page=0-comments=1
[2] http://archiviostorico.corriere.it/2005/maggio/04/Antonveneta_Lodi_conti_sospetti_per_co_8_050504048.shtml
[3] http://archiviostorico.corriere.it/2005/maggio/12/Consob_Lodi_soci_subito_Opa_co_8_050512006.shtml
[4] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/01/03/il-caso-unipol-le-telefonate-di-consorte.html

giovedì 26 maggio 2011

IL MULTICULTURALISMO E’ FALLITO. PAROLA D’ESPERTO.

Nessuno se ne è accorto o in tanti fingono di non accorgersene: il multiculturalismo, ovvero l’idea, (posta dall’alto, non certo dal basso),secondo cui tutti gli uomini, di qualunque nazionalità, razza,cultura o tradizione, debbano convivere tutti insieme, sta conoscendo un forte declino.
E’ Nato sotto l’egida dei benpensanti, dei perbenisti, dei seguaci del “politically correct”; l’hanno spacciato per una sorta di manna dal cielo, di benedizione della Divina Provvidenza, che non poteva né doveva essere arrestato perché dicevano che fosse in grado di elevare la nostra società; invece sta a poco a poco rivelando tutti i propri fallimenti.  E lo sta facendo in completa autonomia: favorito da tutto e tutti, si sta autodistruggendo, senza che vi sia neanche un carnefice preciso, se non esso stesso.
L’ho sempre detto e ne sono stato sempre convinto: qualsiasi idea atta a privare una comunità territoriale dalle sue origini, dai valori in cui è nata e con cui è cresciuta, del suo senso di appartenenza,  a scinderla, insomma, dal territorio stesso, è una follia e , come tale, può conoscere vita breve. Come me, ne sono sempre stati convinti i partiti cd. “di estrema destra” o, se preferite, “xenofobi”, che talvolta hanno sì ottenuto buoni risultati, sia in termini elettorali che di risultati concreti, ma comunque insufficienti a mettere in crisi un disegno posto in essere dalle contingenze del caso e dai soliti poteri forti.
Stavolta, però, se ne sono accorti e, come si suol dire, hanno “fatto outing  personaggi davvero insospettabili: Tony Blair, Angela Merkel e David Cameron. Tutti e tre, in buona sostanza, si sono trovati d’accordo nel dire che il multiculturalismo è giunto al capolinea, ha fatto enormi disastri ed è tempo di girare pagina. Si sono cioè incamminati verso la stessa direzione tracciata dall’Olanda dopo l’omicidio del regista Theo Van Gogh e dalle esperienze dei popoli  mitteleuropei e scandinavi:  l’ “Unione democratica di centro” in Svizzera, i “Veri Finlandesi” nell’omonimo Paese, la Danimarca con il “Dansk Folkparti”, la signora Le Pen in Francia, l’ “NPD” in Germania, lo “Jobbik” in Ungheria e via discorrendo. C’è una differenza però: mentre questi ultimi partiti vengono definiti, appunto, come di estrema destra e, quindi, sono da sempre contrari a qualsiasi processo di integrazione con altre culture, i tre Capi di Stato suddetti appartengono a ben altra tradizione politica, essendo dei moderati, (anche se a leggere le loro parole non sembrerebbe proprio!).
Così la Merkel ha detto chiaro e tondo: «il multiculturalismo è completamente fallito […] Non abbiamo bisogno di un'immigrazione che pesi sul nostro sistema sociale». Ha anche aggiunto: « Noi ci sentiamo legati ai valori cristiani. Chi non lo accetta, non è nel suo posto qui»[1]. Le sue parole sembrano trovare eco anche nel Paese, dato che recenti statistiche riportano dati molto significativi: un terzo dei tedeschi ritiene che la Germania sia “invasa da stranieri”; il 55% si dice convinto che gli “arabi siano delle persone sgradevoli”, (contro il 44% di 7 anni fa); un buon 10% sente “nostalgia del Fuhrer”. [2]
La situazione più emblematica, tuttavia, riguarda sicuramente l’Inghilterra, in particolare la figura di Tony Blair. L’ex Premier britannico, infatti, è passato da una difesa ad oltranza all’attacco, allorché a margine di una conferenza stampa in materia di misure contro il terrorismo disse: «Venire in Inghilterra non è un diritto,  ma un’opportunità che è stata concessa con generosità dal popolo inglese, e  non si può abusare di questa grande tolleranza» ; « le regole stanno cambiando e chi arriva nel Regno Unito ha il dovere di condividere e sostenere i valori su cui si fonda la way of life britannica»[3].
Di lì a poco il concetto verrà ribadito da Cameron, il quale dirà: «Sotto la dottrina del multiculturalismo di Stato abbiamo incoraggiato differenti culture a vivere vite separate, lontane l'una dall'altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società alla quale sentissero di voler appartenere. Abbiamo anche tollerato che queste comunità segregate si comportassero in modi che contraddicevano del tutto i nostri valori. Quando un uomo bianco sostiene delle tesi deplorevoli, razziste per esempio, noi giustamente lo condanniamo. Quando pratiche o punti di vista ugualmente inaccettabili arrivano da qualcuno che non è bianco, siamo troppo cauti, persino spaventati, di contrastarle... Tutto questo fa sì che alcuni giovani musulmani si sentano senza radici. E la ricerca di qualcosa cui appartenere e di qualcosa in cui credere può condurli all'estremismo»[4].
Simili esternazioni e simili dati meritano seria e profonda riflessione. Innanzitutto, sebbene ci si ostini a serrare gli occhi e a fingere che nulla sia accaduto, è quanto mai evidente che il multiculturalismo non sia quella dottrina che favorisce la tolleranza, l’integrazione e la pacifica convivenza. I clamorosi dietrofront inglese e tedesco e, si aggiunga, quello francese,( dato che Sarkozy ha già preso di mira da tempo  musulmani e rom), dimostrano, al contrario, che il multiculturalismo favorisce soltanto delle vere e proprie società parallele in seno alle comunità nazionali; una sorta di microcosmo, (ad esempio il Neukölln di Berlino: consiglio una ricerca in proposito! ),che è non è facile controllare, studiare e classificare, dato che include migliaia di realtà diverse. Non sappiamo quali e quante idee si diffondano in quegli spazi; ignoriamo se siano compatibili con i principi fondamentali degli stati europei; ci sfugge persino un qualche minimo di certezza riguardo il loro interesse e la loro volontà di far parte del Paese in cui si spostano. E dire che qualcuno vorrebbe dar loro pure il voto. Roba da matti!
Ma la cosa più grave è che il “multikulti” finisce per consegnare tanti giovani alle frange più estreme e pericolose della società: dalla malavita organizzata, (le statistiche parlano chiaro: l’immigrazione ha un certo peso  sulle rilevazioni criminali), fino alle organizzazioni terroristiche islamiche. A tal proposito, Nazir Ali, 106° Vescovo di Rochester in Inghilterra, sostiene che «nel secondo dopoguerra le comunità musulmane britanniche aderivano ad una versione mistica e del tutto apolitica dell’Islam. Dopo anni di politiche multiculturaliste, formalmente volte ad agevolare il loro senso di appartenenza storica, si sono trasformate in qualcosa di assai diverso» […]; «oggi le comunità musulmane britanniche sono dominate da un forte radicalismo politico, al punto che gli estremisti riescono persino a intimidire le componenti più moderate ».
Mi fermo qui per ora, ritenendo che ci sia già materiale sufficiente per rendersi conto della pericolosità del multiculturalismo e, ovviamente, di chi se fa promotore e sostenitore a tutti i costi.
E’ una minaccia subdola, nascosta dietro a colori sgargianti che richiamano l’arcobaleno e dietro a discorsi pietosi, melliflui e roboanti. Un’insidia che però attenta direttamente al cuore della società, dell’Italia e dell’Europa intera. Un pericolo costante, insomma, tanto per il presente quanto  il futuro.
Stornarlo è molto più facile di quanto possa pensarsi: basta aprire gli occhi e smetterla di fare discorsi così idioti. A ciò bisogna unire una riscoperta dei propri valori, delle radici profonde, dei principi immortali, italiani ed europei, che non sono certo quelli di “uguaglianza, libertà e fratellanza”, a tutti i costi, meschinamente sfruttati dalle moderne democrazie, bensì quelli che derivano dalla coscienza nazionale, dalla cultura del nostro Paese, dalla Tradizione: amor patrio, fede incrollabile, senso del dovere e del sacrificio, cristiano rispetto per il prossimo, integrità morale, sacralità della famiglia e via discorrendo.  
Principi pre-politici, insomma, che in quanto tali non sono né di destra, né di sinistra. Principi che, una volta riscoperti, dovranno poi essere estesi a tutti e diffusi a livello capillare in società.
 Chiunque li accetti di buon grado e li rispetti sarà il benvenuto; chi non li accetta, invece, sarà libero di tornarsene da dove è venuto o di rivolgersi altrove, possibilmente evitando forme di coazione, a cui ricorrere soltanto come extrema ratio. Si noti bene che tutto questo non è frutto di chissà quale concezione totalitaria della collettività, ma è semplicemente quanto avviene già da tempo in America, ove di ogni immigrato si fa un americano a tutto tondo, senza se e senza ma.
La ricetta è semplice; i segnali di pericolo e gli ammonimenti li abbiamo. Non resta altro che agire. Dimostriamoci furbi una volta soltanto; dimostriamoci, cioè, amanti della nostra Patria. Ma facciamolo in fretta, fintanto che abbiamo qualcosa da tramandare. Facciamolo oggi, però, perché già domani potrebbe essere troppo tardi.
Roberto Marzola.

lunedì 23 maggio 2011

UNIONE EUROPEA: E’ PARTITO IL “COUNT-DOWN” PER L’AUTODISTRUZIONE?

Brutti segnali per l’Unione Europea. Il cammino della folle macchina consumistico-capitalista, avviata coi Trattati di Roma del 1957 e perfezionata con quelli di Maastricht, Schengen  e Lisbona, sembra essersi fatto in salita; il suo passo è ormai pesante e quanto mai insicuro.
A renderlo tale è, soprattutto, la situazione della Grecia la quale, come tutti ricorderete, ricevette non molto tempo fa dei bei denari, da parte degli Stati membri della Comunità,per ripianare la disastrata economia nazionale. La situazione era rovente già  allora, dato che il Paese ellenico aveva spudoratamente taroccato i suoi conti pubblici, sbeffeggiando praticamente tutti. Questo, (e non solo questo), suscitò le ire dei più, in particolare della Germania che, almeno in un primo momento, tutto voleva tranne che mandare la sua carta moneta all’ombra del Partenone.
La situazione va avanti ormai da un paio d’anni  ed è ben lungi dall’essere vicina alla soluzione. Quest’anno il deficit greco è stimato al 9,5% del Pil[1]. Il governo sta cercando di adoperarsi in qualche maniera, ma è come tentare di chiudere una falla sul fianco di una nave col palmo di una mano. Da Atene fanno sapere che il “Ministero delle Finanze sta cercando di continuare con il piano di consolidamento fiscale, tramite misure aggiuntive di oltre 6 miliardi di euro, al fine di conseguire l'obiettivo di un deficit del 7,5% per il 2011”[2]. Più che una promessa, un’impresa titanica, che non fa certo dormire sonni tranquilli ai signori della finanza “made in Europe”. A leggere i giornali viene solo da ridere…per non piangere! Nessuno ha la minima idea di come riportare il convoglio europeo sui binari. E’ tutto un susseguirsi e un intrecciarsi di ricette per uscire dalla crisi, ognuna delle quali contraddice l’altra. Fatto sta che, nel frattempo, i mercati finanziari ne risentono pesantemente: “ il Ftse Mib e il Ftse It All oggi hanno chiuso in ribasso rispettivamente del 3,32% e del 3,18%. A Parigi il Cac40 ha ceduto il 2,1%, a Francoforte il Dax il 2%”[3].

Non è solo la Grecia a preoccupare. Destano angoscia anche i conti di Irlanda, Portogallo e Spagna, quest’ultima addirittura alle prese con una imponente manifestazione contro il governo di Zapatero, colpevole di aver messo in ginocchio l’economia del Paese.
Di fronte a questo scenario apocalittico qualcuno ha lanciato un chiaro monito: stavolta l’Euro rischia di finire a gambe all’aria e con esso l’intera Comunità Europea.
Chi l’avrebbe mai detto? Un intero sistema economico fittizio, senza regole e senza remore, manovrato da pochi per soddisfare gli interessi di pochi, che finisce con il sedere per terra; quello stesso sistema, in cui siamo stati trascinati senza che ci interpellassero, perché, dicevano, ci avrebbe “risparmiato la fine dell’Argentina”, che oggi sembra condannarci alla stesso identico destino.
Mi verrebbe da gioire nel vedere la sconfitta del nemico plutocratico. Dovrei esultare nel vedere banchieri e massoni con le pezze al sedere e i loro camerieri, (a cominciare da Prodi e compagni), ammutoliti dinnanzi al disastro che hanno creato.
Uso il condizionale, però, e per una ragione precisa: perché alla fine, gira e rigira, saranno tutti fuorché loro a pagare il salatissimo conto. Come al solito saranno gli onesti cittadini d’Europa, nell’abituale veste di contribuenti, a dover pagare con il sangue pur di mantenere in piedi il feudo di Lor signori.
Vedrete: l’Europa delle banche e delle monete, salvo eventi clamorosi, riuscirà a spuntarla anche stavolta, perché l’oligarchia di interessi che l’anima è più forte della catastrofe che ha posto in essere. E, ripeto, a pagarne le conseguenze saremo sempre e soltanto noi.
 La mia domanda è sempre la stessa: fino a quando saremo disposti ad obbedire e a rimanere impassibili di fronte alla catastrofe compiuta?
Direi che,ormai, dovrebbe risultare chiaro a tutti che così non si può andare avanti.
L’Europa deve innanzitutto riscoprire le sue antiche radici, lo spirito di fratellanza e di vicinanza spirituale. Questo è stato il peccato originale di cui tutti dobbiamo avvederci: permettere che usassero l’economia per portare a termine il processo di massificazione, la realizzazione di un unico governo centrale e di un’unica banca centrale, facilmente controllabili e manipolabili.
Nossignore!  E’ all’unificazione che dobbiamo arrivare: ma ad un’unificazione che rispecchi lo spirito dei popoli d’Europa, che riconosca i loro inviolabili e sacri confini e che rispetti, anzi contribuisca a difendere, le culture e le tradizioni nazionali; un’unificazione che, insomma, sia mossa da un solido progetto politico-culturale, atto a riportare al centro del mondo il Vecchio Continente, con le sue genti, i suoi valori e i suoi saperi.  Un progetto che dia ai popoli d’Europa il benessere ed il prestigio di cui hanno goduto per millenni, prima che venissero invasi, colonizzati, sottomessi.
Sarà un processo lungo e complesso; ma è anche l’unico possibile, perché si possa arrivare ad un’Europa libera e liberata, perché priva di influenze ed egemonie, consapevole delle proprie potenzialità e anelante di riconquistare ciò che da sempre le è appartenuto: il proprio destino.
Per l’Europa dei Popoli, per l’Europa Nazione. Subito. Adesso.
Roberto Marzola.

sabato 21 maggio 2011

PEDOFILIA: MA QUALE LEGGE PUO’ PUNIRE UNA SIMILE ATROCITA'?

Le recenti notizie di cronaca hanno riportato alla luce una realtà vomitevole: la pedofilia. 
Fa ancora più schifo il fatto che, per l’ennesima volta, questa si consumi in un ambiente ecclesiastico. Non è una novità, purtroppo: la Chiesa è stata più volte investita da certi scandali ; ma fatti così atroci non li avevo ancora sentiti. Non avrei proprio voluto sentirli, a dire il vero.

Stavolta, Don Riccardo Seppia, (così si chiama il presunto orco), ne ha combinate di tutti i colori: adescava minorenni, spacciava, consumava abitualmente cocaina e altre sostanze psicotrope. Si era contornato di una masnada di delinquenti, adolescenti e adulti. Era solito frequentare prostitute. Adesso sembra addirittura che sia sieropositivo, o almeno così si legge nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari nei suoi confronti.
Al di là della sua reale colpevolezza e delle sue concrete responsabilità, sulle quali non mi pronuncio, (sarà materia per la Magistratura), mi viene da domandarmi: esiste una legge umana in grado di punire adeguatamente simili crimini?

La mia risposta è NO.

Non c’è sanzione, nemmeno la più grave in Italia, (l’ergastolo), che possa in qualche maniera risultare proporzionata a questo crimine immondo. E non mi si dica: “la pena deve rieducare il condannato”. La Costituzione la conosco bene, anche molto meglio di chi la difende a spada tratta, sempre e comunque. Qui non c’è proprio nessuno da rieducare; chi offende la dignità e l'intimità di un ragazzino, condannandolo ad indicibili sofferenze psichiche, non merita cotanta attenzione. 
Bisogna solo cercare di porre un freno ad un fenomeno che, ahimè, è in crescita costante. Tanto per fare un esempio : dalle 598 segnalazioni del 2002, siamo passati alle 845 del 2004, (fonte: Polizia di Stato). I numeri non dicono tutto: ci sono infatti migliaia di casi che, per i più disparati motivi, non vengono scoperti e denunciati, quindi non rilevati nelle statistiche.

Al di là delle rilevazioni, va detto che il sistema penale italiano non sembra adeguato a reprimere tale crimine. I soggetti imputati o condannati, difatti,  finiscono sempre con l’essere messi in isolamento non appena varcano la soglia delle patrie galere. La legge del carcere, si sa, è dura: puoi rubare, rapinare, estorcere, truffare, uccidere anche decine di uomini; ma i bambini non si toccano, altrimenti ti fanno la pelle.
Mi pare un trattamento sin troppo decoroso per chi si macchia di certe atrocità!
E’ per questo che dico, allora, di trovare una pena adeguata e che, al tempo stesso, funga da potentissimo deterrente. Nel mio piccolo propongo la CASTRAZIONE CHIMICA OBBLIGATORIA PER TUTTI I CONDANNATI CON SENTENZA DEFINITIVA PASSATA IN GIUDICATO.

A dire il vero, qualcuno che non voglio neanche nominare,in illo tempore, aveva già avanzato una proposta del genere, forse più per spot propagandistico che non per intimo convincimento.

Il trattamento terapeutico, a base di medrossiprogesterone, è già stato sperimentato,  in America e in Svezia soprattutto. E’ solitamente temporaneo e, a quanto mi risulta, ha dato buoni risultati laddove è stato impiegato. Invece, nei casi più gravi, come ad esempio il concorso di reati e/o la presenza di una o più circostanze aggravanti, la castrazione potrebbe essere definitiva. E' una pratica che non comporta chissà quali rischi ed è usata anche per altre finalità, in particolare per l'adeguamento del sesso di "transgender", travestiti ecc.

Ovviamente, un simile trattamento non sostituirebbe la normale pena detentiva che, anzi, andrebbe ulteriormente inasprita e prolungata. Al contrario, i processi dovrebbero essere assai brevi. A tal proposito, si potrebbe ipotizzare che per la fattispecie criminosa de qua si procedesse, sempre e comunque, con le forme del giudizio immediato.

Questa non è che una semplice, iniziale e generale proposta  di approccio alla risoluzione del problema. 
Spero vivamente che il dibattito su queste autentiche tragedie si rianimi, perché certi crimini così atroci non possono essere trattati in maniera così leggera. 
Non è civile, infatti, solo quel Paese in cui lo Stato si mostra mite nei confronti degli onesti cittadini; spesso lo è molto di più quello in cui lo Stato tratta simili delinquenti con il metodo che meritano: il pugno di ferro.

Roberto Marzola.

mercoledì 18 maggio 2011

PERTINI: PICCOLO UOMO, GRANDE IMPOSTORE.

Nella “repubblica nata dai valori della resistenza” è consuetudine più che consolidata considerare uomo retto,  ammirevole e addirittura eroico chiunque si sia dichiarato contrario al governo mussoliniano. In questo Paese l’antifascismo è condizione necessaria e sufficiente per un riconoscimento, per un attestato di stima. Un dato che la dice lunga sulla consistenza della cultura e della politica impregnate dai valori della resistenza, (che poi non si è mai capito quali siano). Non hai nulla da dire o da proporre? Non importa; conta solo essere antifascista, demolire e non costruire.
E’ il caso di Sandro Pertini, un “eroe della resistenza”, praticamente un santo in terra nell’Italia del secondo dopoguerra. L’hanno definito addirittura “il Presidente di tutti gli italiani”.

Signori, per favore, siamo seri! Non dico sempre, ma almeno una volta tanto.  Non magnifichiamo qualcuno che non ha avuto meriti particolari, se non l’astuzia di cavalcare la cresta dell’onda antifascista.
Chi era infatti costui? Le cronache della sua gioventù lo descrivono come un attivista, un agitatore sociale sempre pronto ad alimentare il fuoco dell’odio politico e di classe, in un’epoca già piuttosto violenta di suo, (mi riferisco in particolare al “Biennio Rosso”). Vedere per credere!
Nel 1924 fu condannato alla pena detentiva per stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia, fattispecie previste dal codice Zanardelli, (codice sabaudo, non fascista, che verrà modificato da Mussolini solo dal dicembre 1925). Non contento della condanna ricevuta, continuò  la sua attività, sino a guadagnarsi il confino previsto dalle “leggi fascistissime”.  Esiliato, rientrerà in Italia: nuovo processo e nuova condanna. Alla difesa in Tribunale, preferì dare spettacolo rifiutando le lettere della madre, scritte in sua difesa.
Ma è dopo il carcere che Pertini diede il “meglio” di sé. 
Partecipò alla resistenza, raggiungendo i vertici del C.L.N. . Alla testa dei suoi uomini provocò un’orgia di sangue: condanne capitali,(più di quelle comminate a seguito della reintroduzione della pena di morte durante il Fascismo), esecuzioni sommarie ed eccidi.
Non va dimenticata poi via Rasella, che Pertini non fece nulla per evitare. Su quei fatti disse: « Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola» . Insomma, che importa se si trattavano di poliziotti tornati da un addestramento e, come tali, probabilmente male armati, se non completamente disarmati. L'importante era uccidere, sterminare. 
Come se non bastasse, conferì a Bentivegna, (autore materiale dell’attentato), la medaglia d’oro al valor militare. 
L’atrocità, l’idiozia e l’assurdità della scelta è sottolineata dalla reazione che provocò in Giuseppe Palumbo, generale della Folgore, rimasto fedele al Re dopo l’8 settembre. Quando seppe della consegna della medaglia a Bentivegna, Palumbo restituì al presidente tutte le sue medaglie (ed erano parecchie). Evidentemente, essere accomunato a certi criminali lo offendeva…
Nel curriculum di Pertini, però, alle atrocità d’armi si uniscono quelle civili. Appena eletto Presidente, nel 1978, “concesse la grazia a quel Mario Toffanin, nome di battaglia «Giacca», che nel 1954 la Corte di Assise di Lucca condannò all’ergastolo (in contumacia, perché Botteghe Oscure riuscì a farlo riparare in Jugoslavia). Quel Toffanin che da capo partigiano della Brigata Osoppo si era aggregato, dandogli manforte, al IX Corpus titino responsabile delle foibe e che fu protagonista della strage di Porzûs. E che oltre all’ergastolo per i fatti di Porzûs avrebbe dovuto scontare anche trent’anni per sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione e concorso in omicidio aggravato e continuato. Un criminale fatto e finito, dunque, al quale lo Stato, grazie alla famigerata «legge Mosca», elargiva persino la pensione[1].
Ciò che crea più sdegno, tuttavia, è senz’altro la vicenda legate alle Foibe. Il silenzio di Pertini fu vergognoso e connivente. Mentre migliaia di Italiani cadevano, vittime della ferocia comunista, lui contribuiva  a sostenere il muro dell’omertà e la congiura del silenzio. E dire che, (come denunciato più volte dall’encomiabile prof. Marco Pirina), il governo di quegli anni, oltre a ricevere Tito a Roma, pagava addirittura milioni di lire perché la Jugoslavia trattenesse nelle sue galere i nostri prigionieri. Addirittura,  lo Stato Italiano eroga tutt’oggi la pensione, con reversibilità del 100%, agli esecutori materiali degli “infoibamenti”.
Come mai Pertini, (né alcuno di quelli che l'hanno preceduto), non disse nulla di tutto ciò? Semplice: era un socialista di sinistra ed un acceso antifascista; evidentemente condivideva l’operato slavo. Ipotesi che viene avvalorata da ciò che Pertini fu capace di fare durante il funerale del Maresciallo Tito: partecipare in maniera assolutamente commossa, baciando il feretro del boia di migliaia di veri Italiani e la bandiera slava, sotto la quale essi erano stati massacrati.
UNA VERGOGNA INFINITA!
In molti lo ricordano per il Mundial 1982 e per la sua partita a scopa con Bearzot. Spero che almeno abbia vinto quella partita: sarebbe l’unica cosa degna della sua vita!
Prima di lasciarvi, vi allego un articolo tratto da “La stanza di Montanelli”. Lo ritengo un’autentica chicca che dimostra, ancora una volta, l’assoluta faziosità e la leggerezza con cui si insegna la storia in Italia. Buona lettura.
Roberto Marzola.




LA STANZA DI MONTANELLI
Pertini? Sono altri i grandi d' Italia
Caro Montanelli, Rilevo con disappunto come la figura di Sandro Pertini sia stata rimossa dalla memoria degli italiani e dei loro degni rappresentanti politici. Solo il Corriere, se non sbaglio, gli ha dedicato ultimamente un servizio su Sette. Perche' tutto ciò? Vorrei da lei inoltre un giudizio su quest'uomo che personalmente stimo degno di ben altra considerazione. Fabio Mazzacane, Pistoia
Caro Mazzacane, Lei ha bussato alla porta sbagliata. Dalla memoria degl'italiani sono stati rimossi gli Einaudi, i De Gasperi, i Saragat, i La Malfa, i Vanoni, che nella politica del nostro Paese hanno contato molto più di Pertini. Il quale fu certamente un uomo onesto, coraggioso e coerente con le proprie idee (anche perché ne aveva pochissime). Ma le stesse qualità si possono attribuire anche a coloro che ho nominato e che vi aggiungevano quella di una sagacia politica, di cui Pertini fu sempre sprovvisto. Nel suo stesso partito non esercitava alcun peso, era considerato un "compagno" di tutto affidamento, ma bizzarro, imprevedibile e sempre pronto a qualche colpo di teatro. Nenni, che gli voleva bene, mi disse una volta: "Io non sono certamente un uomo di cultura e alla cultura non attribuisco, per un politico, una decisiva importanza. Ma qualcosa so, qualche libro l'ho letto, anche grazie a Mussolini quando mi mandò al confino a Ponza. C'era anche Sandro. Lui, l'unica cosa che leggeva era «L'Intrepido». Il resto del tempo lo passava a giocare a briscola o a scopa coi nostri guardiani. Alle nostre discussioni sul futuro dell'Italia e del partito non partecipava quasi mai, e quando lo faceva, era solo per invocare il popolo sulle barricate, per lui la politica era solo quella". Lei mi chiederà come fece un uomo cosiì sprovveduto a diventare Presidente della Repubblica. Lo diventò appunto perché era sprovveduto, e come tale forniva buone garanzie di non interferenza agli uomini del potere vero, totalmente in mano ai partiti. Quello che forse nessuno aveva previsto, ma che si rivelò un particolare del tutto innocuo, era il suo demagogismo. Pertini aveva il fiuto del pubblico, e ne secondava alla perfezione tutti i vizi e vezzi. Dal video ogni tanto pronunziava terribili requisitorie contro la classe politica, come se lui non vi avesse mai appartenuto, come fece al momento del terremoto dell'Irpinia, quando accusò il parlamento di avere bocciato i disegni di legge per le misure di difesa in caso di emergenza, dimenticandosi che il Presidente della Camera che li aveva respinti era stato lui. Non perdeva occasione di dare spettacolo seguendo in lacrime tutti i funerali, baciando torme di bambini, e insomma toccando sempre quel tasto del patetico a cui noi italiani siamo particolarmente sensibili. I suoi alluvionali discorsi di Capodanno erano autentiche sceneggiate. Ma in sette anni di Presidenza, di sostanziale e sostanzioso fece poco o nulla. Della corruzione che dilagava o non si accorse, o preferì non accorgersi. Comunque, un segno del suo passaggio al Quirinale non mi sembra che lo abbia lasciato. Ce lo ricordiamo come un brav'uomo pittoresco e un po' folcloristico, che seppe far credere alla gente di essere un "diverso" dagli uomini politici, mentre invece era sempre stato uno di loro e non aveva mai vissuto d'altro che di politica. Non c'e' da vergognarsi di avere avuto un Presidente come Pertini. Ma non vedo cosa ci sia da ricordarne…
P.S. Io, invece, Caro Indro mi vergogno e come!
PPS. UNA CITAZIONE AUTENTICA DI PERTINI, APPARSA SU "L'AVANTI" : «Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L’ultima sua parola è stata di pace. [...] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura... Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l’immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto». Pertini non ha mai ritrattato, neanche dopo aver saputo degli atroci crimini di Stalin. A voi ogni ulteriore considerazione.


[1] Paolo Granzotto- “Il Giornale”, 16/02/2008