BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


lunedì 16 maggio 2011

LIBERTA',UGUAGLIANZA,FRATELLANZA? NO...DIO,PATRIA E FAMIGLIA.

Pubblico un recente articolo scritto da Marcello Veneziani, giornalista, scrittore e filosofo con cui capita spesso di trovarmi d'accordo. Un evento piuttosto raro, se si considera il totale degrado morale, culturale e politico che affligge la società odierna, in cui si scrive, praticamente, solo di scappatelle, di meretrici, guai giudiziari, atroci delitti e via discorrendo.
Stavolta, invece, si parla di antico, di eterno, di salvifico: Dio, Patria e Famiglia. Una triade che raccoglie valori, saperi, tradizioni e ideali che sono in grado di elevare l'uomo dal disastro attuale e di indirizzarlo verso orizzonti più ampi. Un terzetto che è bene riscoprire, depurare dai pregiudizi ideologici e riproporre con forza crescente, perché è quanto di più vicino alle nostre origini, alla nostra coscienza, alla nostra essenza.

Buona lettura,

Roberto Marzola.


Se il mondo riscopre Dio, patria e famiglia

Dietro ai grandi eventi di questi giorni, dalla beatificazione di Wojtyla al "compleanno" d’Italia, c’è l’eterno ritorno dei valori della tradizione


La beatificazione del Papa e la fol­la dei devoti a Roma, l’intervento in Libia e il compleanno d’Italia, il matrimonio nella famiglia rea­le inglese in mondovisione, il ri­nato patriottismo Usa dopo la morte di Bin Laden. Quattro even­ti planetari in una sola settimana hanno riacceso in forme diverse le luci su un’antichissima trinità: Dio, patria e famiglia. Era da tem­po che non si rivedevano insieme.
Che fine hanno fatto Dio, patria e famiglia? Sono stati per secoli l’orizzonte di vita e di senso dei popoli, poi si sono ritirati nel ruolo di bandiera ideale per movimenti conservatori e tradizionali. Ora sanno di arcaico e finito, servono più per etichettare posizioni antiquate altrui che per rivendicare le proprie. Con che cosa furono sostituite? Potremmo rispondere con nulla, o con il nulla eretto a orizzonte. O, storicamente, che furono sostituite con libertà, eguaglianza e fratellanza. O più semplicemente che furono barattate con l’individuo, i suoi diritti e la libertà sovrana di sentirsi cittadino del mondo, senza legami a priori. Sembra impossibile pensare a Dio, patria e famiglia. Chi li vive non li pensa e chi li pensa li ritiene già morti. Eppure Dio, patria e famiglia occupano ancora il pensiero supremo di metà umanità e la loro orfanità è avvertita come un vuoto dall’altra metà. Dio, patria e famiglia popolano i pensieri reconditi, i ricordi e i rimorsi più forti, animano l’arte,il sogno e la letteratura,resistono come nostalgia e sentimenti. Perché occupano rispettivamente la sfera del pensiero e della fede, della vita pubblica e civile, della vita intima e sentimentale. Si chiamano in modi diversi; per esempio senso religioso, senso comunitario e senso delle radici. L’uomo ha tre dimensioni originarie, che sono la sua umanità, la sua natura e la sua cultura: la dimensione verticale che ci spinge a tendere verso l'alto, la dimensione orizzontale che porta a situarci in una comunità e la dimensione interiore che induce a ritrovarsi nelle origini. In questo triplice viaggio verso il cielo, la terra e le radici, ci imbattiamo in figure e presagi che richiamano Dio, patria e famiglia. E se fosse necessario ripensarli e riviverli nel nostro presente e nel futuro prossimo? Se nascessero dalla loro scomparsa la presente disperazione, il cinismo e gli abusi, le paure e le chiusure? Se avessimo bisogno di quell’orizzonte per essere uomini e per legarci davvero tra noi? Davanti alla tabula rasa bisogna tornare all’abc.
Come si possono pensare oggi Dio, patria e famiglia con la sensibilità del presente, senza tornare al passato? In primo luogo attraverso la libera scelta, nessun automatismo imposto da natura o storia, autorità o legge. Ma una libera e radicale scommessa tra caso e destino, tra libertà di assegnare significato o no all’origine, ai nostri legami, al nostro senso del sacro e del divino. Abbiamo bisogno di dare un senso alla vita, riconoscendovi un disegno intelligente; poi di avvertire un luogo come la nostra casa, la nostra matrice; quindi di nutrire legami speciali di comunità e tradizione.
In secondo luogo dobbiamo risalire dalla buccia al midollo, all’essenza di quel senso religioso, comunitario e delle origini. Con amore totale per la verità, costi quel che costi, non cercando coperture retoriche e rassicuranti bugie. È onesto pensare che le forme storiche, lessicali e rituali in cui si manifestano Dio, patria e famiglia possano morire e mutare. Ma il tramonto di alcune fedi secolari, di convinzioni e strutture, non significa la fine di quegli orizzonti e del nostro bisogno. È importante distinguere tra le forme che passano e i contenuti che restano; capire cosa salvare, cosa rigenerare e cosa lasciar morire.
In terzo luogo, oggi Dio, patria e famiglia vanno pensate non solo in loro presenza ma anche in loro assenza, attraverso la loro mancanza, e gli effetti che questa produce. Non possiamo negare che si tratta di princìpi sofferenti, sempre più cagionevoli e incerti. Non possiamo chiamarci fuori, fingere una purezza che non abbiamo; dobbiamo saper riconoscere che nella loro penuria ci siamo dentro anche noi, fino al collo; scontiamo anche noi cadute e incoerenze. Non ci sono incontaminati guardiani dell’ortodossia e dell’osservanza; anche noi esitiamo e spesso voltiamo le spalle. Dunque, nessuna pretesa di superiorità e di purezza rispetto agli altri; sia questa ragione di realismo e umiltà popolare.
In quarto luogo va tenuto a mente che nessuno può imporre il monopolio, il primato, l’esclusiva, del suo Dio, della sua patria e della sua famiglia. Amare Dio, patria e famiglia non vuol dire negare quelli degli altri; ma rispettarli tutti, a partire dai propri. Se neghi il Dio, la patria e la famiglia degli altri, neghi i tuoi. Se neghi ogni dio, ogni patria e ogni famiglia, neghi l’umanità, la dignità e l’identità tua, altrui e del mondo da cui provieni. Chi rinfaccia gli orrori compiuti in nome di Dio patria e famiglia, confonde la malvagità umana con i pretesti in cui è stata rivestita nei secoli. Anche la libertà, l’uguaglianza, la fraternità e i diritti umani sono stati usati per imporre il terrore giacobino, le dittature comuniste, il fanatismo ateo; contro Dio, patria e famiglia.
Infine, i corollari: via la cupa ortodossia, meglio l’ironica leggerezza. Via la scolastica ripetitiva, meglio l’educazione popolare a quei principi. Via il superbo individualismo o la sua variante settaria, meglio iscriversi nell’alveo popolare di un comune sentire e di una tradizione provata dall’esperienza.
Non so se questo basterà per rigenerare nel tempo presente e in quello che viene l’amor patrio,familiare e divino. Ma non vedo altro all’orizzonte che meriti di suscitare passioni ideali e nulla che ricordi davvero la storia e la vita autentica, la cultura e la natura dell’uomo. Se fosse questo il compito ideale e civile, politico e morale di oggi? Pensateci, perlomeno. Per non morire nemocristiani, cioè figli di nessun cristo. 

venerdì 13 maggio 2011

ARIES O.N.P. e IL TEN. COL. CELSIO ASCENZI : LA FORZA E LA FEDE.

“IL DOMANI APPARTIENE A NOI”
di Aries Officina Nazional Popolare in collaborazione con il  Tenente Colonnello Celsio Ascenzi.




Grande è la responsabilità di cui ci facciamo carico nel voler spiegare alla gente il pensiero e l’ardore che ci anima.
Parlare del futuro, del domani, non è cosa semplice per chi ha sogni non comuni a tutti,per chi ancora crede di poter irrompere nella quotidianità dei giovani e quindi del “nostro avvenire”, propugnando valori, saperi e tradizioni imperituri con una tenacia volta a cambiare il presente.
Nulla ci appassiona di più. E’ troppo facile stare a guardare ed essere accomodanti; è troppo facile dire e non fare.
Abbiamo da sempre deciso di far sentire la nostra voce e le nostre emozioni, senza veli né mezze verità.
Compito difficile direte? Vero! Ma noi vogliamo provarci.
Chi poteva aiutarci a spiegare, con tanta enfasi ideologica, il nostro pensiero  e la ragione della nostra militanza, se non chi sul pensiero e sulla militanza ha impostato  la propria vita?
Celsio Ascenzi, nostro carissimo amico,fratello,maestro ed esempio di vita, ha voluto regalarci una sintesi di quanto sopra preannunciato. Una vera lezione politica, che merita una profondissima riflessione.


«La nostra essenza è rivoluzionaria,perché vogliamo realizzare un ”mondo nuovo”della cui umanità siamo certi: infatti le sue radici affondano nell’antico e nell’eterno dell’Essere.
Come veri rivoluzionari, non siamo turbati da alcuna fretta,perché sappiamo attendere per giovarci dell’ora, perché sappiamo che il fiume fluisce per noi,là dove noi vogliamo.
Crediamo nello Spirito e sappiamo dominare ed usare la materia.
Il nostro Legionario,sereno e imperturbabile,sceglie di affrontare la propria vita, educandosi e temprandosi all’imperativo del DOVERE, e s’addolora per quanti,raggianti ed illusi da un nemico che da secoli ghigna acquattato nel buio, non s’accorgono che il frastuono assordante dei “diritti da rivendicare” altro non è che una tragica frode,non diversa dal panno rosso sventolato sulle narici del toro,già destinato a morire.
Non guardiamo al COMUNISMO ,come non si guarda a ciò che si dissolve e si annulla da sé,mentre niente lo ostacola e tutto lo agevola. Ma abbiamo, parimenti, orrore del LIBERAL-CAPITALISMO, in cui vediamo la causa del male del nostro popolo e di tutti i popoli che sono affetti da quella tabe.
Siamo tesi al domani, che sappiamo essere nostro,e non ci contiamo mai, perché sappiamo di aver sempre un Camerata al nostro fianco ed uno che ci segue, per prendere, poi, il nostro posto nella battaglia».
L’ora di scendere in campo è già suonata, caro Celsio, e noi ci accingiamo a schierarci, armati solo dei nostri ideali, delle nostre speranze, della nostra fede incrollabile e della ostinata volontà. Conquisteremo finalmente quel “domani” che, come dice la famosa canzone, “appartiene a noi” e lo restituiremo al suo legittimo proprietario: la Nazione Italiana.
Ad majora!

Aries Onp.

mercoledì 11 maggio 2011

TERREMOTO DI ROMA: COME SI FA A CREDERCI?

Doveva essere il finimondo, la scomparsa di Roma e di tutto ciò che rappresenta; o almeno questo è quello che si leggeva in quella che, oramai, è diventata la profezia di Bendandi, uno scienziato autodidatta del secolo scorso.
La notizia ha viaggiato sulla rete, sugli altri canali di informazione mediatica e si è sparsa con il passaparola tra la gente. Ha creato allarmismo, al punto tale che in molti hanno abbandonato la città per rifugiarsi in luoghi ritenuti più sicuri. Taluni hanno organizzato gite fuoriporta. Diversi negozianti hanno scelto di abbassare le saracinesche e di darsela a gambe. A nulla sono valse le dichiarazioni dell’Istituto Nazionale di Geofisica, che si è prodigato a smentire il vaticinio, evidenziandone l’assoluta a-scientificità.

La notte è da poco trascorsa  e di tutto questo non vi è traccia. Le ipotesi sono due: o Bendandi ha fatto male i suoi calcoli, sbagliando clamorosamente ora e giorno, oppure si tratta dell’ennesima panzana “proto-apocalittica”.
A guardare meglio, la risposta potrebbe essere ancora più scontata: si è semplicemente trattato di ignoranza, che ha finito per generare una vera e propria psicosi di massa.

Già ignoranza, perché persino Alessandro Amato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha detto: “Nessuno hai mai previsto che l'11 maggio del 2011 ci sarà  un terremoto a Roma. Neanche Bendandi l'ha mai fatto. Infatti non ci sono documenti che lo dimostrino”. Poi ha ripetuto un altro concetto fondamentale: “Nella storia ci sono una moltitudine di previsioni da 'fine del mondo', e mai si sono avverate, semplicemente perché  un terremoto non si può prevedere”.[1]

Parafrasando un latinetto si potrebbe dire: “vox scientiae, vox dei”. Evidentemente, così non è, e non può essere per molti. C’è ancora il bisogno di credere alla ciarlataneria, alla stregoneria, alle profezie. L’irrazionalità non è più un atteggiamento culturale e filosofico atto a descrivere tutto ciò che non può essere “penetrato, dimostrato o giustificato dalla forza logica del pensiero, o sia comunque estraneo all’attività razionale del pensiero[2], ma è un moto dell’ignoranza e dell’incultura di massa.
A Nietzsche e Schopenhauer da un lato, e a Galileo, Newton e Einstein dall'altro, abbiamo sostituito qualche idiota ciurmatore e una manica di giornalisti inetti in odore di un facile scoop.
Questo purtroppo generano una società caotica, un’informazione delirante e una scuola inadeguata. Solo questo, del resto, può accadere nel mondo privato della vera religione e del mito, a cui gli uomini hanno da sempre affidato le proprie angosce e paure, allorché si trovavano di fronte ad un qualcosa che non sapevano spiegare e/o affrontare.

Ammettiamolo: a furia di distruggere valori, saperi, tradizioni e quant’altro, ci ritroviamo ad essere nulla più che scatole vuote. Scatole che rischiano di riempirsi con qualunque fesseria che riesca ad assumere, in maniera neanche tanto credibile, una qualche parvenza di verità. Che siano le profezie di Nostradamus, le previsioni apocalittiche dei Maia, le invasioni degli alieni o le presunte profezie di uno scienziato deceduto, poco importa; in tanti, troppi, riescono a lasciarsi sedurre e imbrogliare. Naturalmente, tutti liberi di farlo; solo che poi non meravigliamoci quando sentiamo di persone malate che lasciano la medicina ufficiale per affidarsi a qualche ciarlatano o di altre persone raggirate dal mago o cartomante di turno. Il principio di funzionamento della "macchina dell'aggiramento" è sempre lo stesso.

Roberto Marzola.

lunedì 9 maggio 2011

9 MAGGIO 1978: POCHE RIGHE PER RICORDARE DUE UOMINI

Scrivo poche righe solo per stimolare la memoria storica di un Paese che, spesso, dimostra di averla sin troppo corta.  Ricordare vuol dire avere piena coscienza di ciò che siamo, di quello che abbiamo vissuto, fatto,detto oppure semplicemente passato; è un imperativo per qualsiasi Nazione che voglia creare delle solide basi, su cui poggiare le premesse per un futuro più grande del presente.  Praticamente, un’utopia in Italia, Paese in cui la menzogna è addirittura un affare di Stato.
Il 9 maggio è una data su cui riflettere. In quel giorno del 1978, infatti, si consumano due tragedie, che meriterebbero ben altra considerazione rispetto a quella che hanno solitamente, (ben altra rispetto a quella fatta, ad esempio, oggi da Napolitano, un vero maestro nelle dichiarazioni di facciata e nei discorsi vuoti e scontati): il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro e la morte di Giuseppe Impastato.

Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana con vari incarichi di governo nel corso degli anni, (5 volte Pres. del Consiglio, Ministro della Pubblica Istruzione e degli Esteri, nonché Guardasigilli), fu il fautore dell’apertura al centrosinistra,  intesa quale condizione per superare la crisi del centrismo. Propose la “strategia dell’attenzione” verso il Partito Comunista Italiano che, progressivamente, veniva inglobato nella maggioranza di governo, come testimoniano gli esecutivi cd. “della non sfiducia” e, più in generale, la politica del “compromesso storico”. Proprio nel giorno in cui tutto questo si apprestava a divenire realtà, vale a dire il 16 marzo 1978, allorché il P.C.I. era in odore di entrare nel governo Andreotti, Moro venne rapito dalle Brigate Rosse, braccio armato della lotta proletaria, vale a dire il medesimo cavallo di battaglia cavalcato dallo stesso P.C.I.  Cinquantacinque giorni che sconvolgono e angosciano l’Italia, (la quale si era divisa, tanto per cambiare,  tra favorevoli ad una mediazione con gli aguzzini ed intransigenti), fino a quel 9 maggio, in cui il corpo senza vita di Moro viene fatto ritrovare nel portabagagli di un’auto in via Cetani, a Roma. Una scelta quanto mai simbolica, dato che la via si trova, grosso modo, alla stessa distanza da dove erano ubicate le sedi del P.C.I. e della Democrazia Cristiana.

Nello stesso giorno muore a Cinisi, vicino Palermo, Giuseppe Impastato, detto “Peppino”. Giornalista di grido, cresciuto in una famiglia mafiosa, di formazione socialista, si avvicinò gradualmente agli ambienti di sinistra ma non cambiò la sua massima aspirazione: la lotta senza quartiere alla Mafia; una guerra che fosse ideale e politica, prima ancora che militare; un combattimento condotto attraverso le armi della denuncia e dell’informazione contro il muro dell’omertà.  Decide così di scrivere una serie interminabile di articoli contro il malaffare e di candidarsi persino alla elezioni del 1978 nella lista di “Democrazia Proletaria”. Tanto nei suoi scritti, quanto nei suoi comizi, rivolge le proprie accuse, (diffuse anche grazie alla radio da lui fondata, “Radio Aut”), in particolare contro Gaetano Badalamenti, affiliato a Cosa Nostra.  Accuse che gli costarono assai care, giacché in piena campagna elettorale rimase ucciso a seguito di un attentato. Lo Stato Italiano, pur riconoscendo la matrice mafiosa del delitto, conduce accertamenti in maniera assai discutibile. Arriva a condannare con l’ergastolo il Badalamenti, (ormai 80enne), solo nel 2002, riconoscendolo quale mandante dell’esecuzione. Insieme a lui, viene condannato a trent’anni di reclusione anche Vito Palazzo.

Mi sono limitato, VOLUTAMENTE, a richiamare i fatti nella loro essenzialità, nell’intenzione di lasciare ogni lettore libero di formare la propria opinione. Ciascuno di noi dovrebbe riflettere su certi accadimenti,  accomunati da un tragico dettaglio: il pressapochismo,quanto mai sospetto, con cui le istituzioni di quel tempo hanno operato, dando l’immagine di uno Stato debole, tenuto con troppa facilità sotto scacco da poteri occulti e, quel che è peggio, di un Paese addolorato sì, ma fondamentalmente spaccato in due per l’ennesima volta.
Episodi del genere ci aiutino a crescere; ci stimolino a costruire uno Stato che sia Stato, cioè con una magistratura all’altezza del compito che le è proprio, con un esecutivo e un parlamento forti, risoluti e caparbi, espressione del popolo e servitori della Nazione, piuttosto che ostaggi, (qualcuno direbbe “camerieri”), sotto varie forme, di sparute e variegate masnade: terroristi, mafiosi e ben altre, più nobili e ricche sette. Come si suol dire: “intelligenti pauca”.
Roberto Marzola.

sabato 7 maggio 2011

LA “SINISTROSA” NOSTALGIA PER GLI ANNI DI PIOMBO

La cronaca politica degli ultimi tempi sta diventando molto pesante o, meglio, allarmante. Ve ne siete accorti? Probabilmente no. Non disperatevi, non è tutta colpa vostra. I vari opinionisti, commentatori ed osservatori sono troppo occupati a ficcanasare in ciò che avviene nelle stanze della politica di palazzo, (in particolare nelle camere da letto), per rendersi conto di ciò che avviene nelle strade, nelle vie e nelle piazze di città e paesi; a tale situazione dedicano pochissime righe, quando va bene. Quasi nessuno di questi signori si è accorto, o finge di non accorgersi, che si sta creando una situazione altamente infiammabile. Praticamente, solo il buon Pansa ha lanciato l’allarme, dicendo che, in parole povere, qualcuno vuole ritornare al clima d’odio, agli scontri di piazza, alle botte da orbi, alle spranghe e, temo, anche ai morti per le strade. Pansa è lapidario e afferma: è la sinistra, (sempre che si possa ancora parlare di destra e sinistra),che cova e diffonde l’odio, contaminando l’intera scena politica, a cominciare dal mai sopito risentimento antifascista e dell’astio antiberlusconiano.  Non so come dargli torto. Purtroppo, la “logica”,(se così si può definire), della sinistra è quella dell’«anti», ed è la madre di tutte le disgrazie.
Si badi bene che non sto descrivendo chissà quale astruso teorema; ho semplicemente fatto un’estrema sintesi dei fatti che sto per riportare. Vediamoli.
Uno dei bersagli principali dell’odio “sinistroso” è sicuramente Casa Pound Italia, ormai da tempo destinataria di una vera e propria dichiarazione di guerra da parte di tutta la sinistra, non solo dalle sue frange più estremiste. Prova ne sia l’episodio avvenuto a Cuneo, in via Alba, il 26 febbraio di quest’anno, in cui è il sindaco in persona a pompare la delirante folla antifascista che, puntualmente, si scaglia contro i ragazzi di C.P.I. : volano parole grosse ed oggetti di ogni tipo, praticamente da e verso una parte sola, ovvero quella delle “tartarughe”.  Purtroppo un ragazzo tra queste ultime, colpito in testa da un sampietrino, viene ricoverato d’urgenza all’ospedale. Non è certo l’unico attacco e neanche l’ultimo, purtroppo. Di recente, infatti, la sinistra "fascistofobica" ha montato dei veri e propri casi, denunciando, anche dalle pagine di certi quotidiani nazionali, che dei membri dei centri sociali e persino dei ragazzini sarebbero stati aggrediti da militanti di C.P.I. . Tutto falso! Alle calunnie, purtroppo, hanno fatto seguito gli ordigni esplosivi contro le sedi dell’associazione a Roma e, addirittura, contro le abitazioni private dei singoli membri. Altre aggressioni e altre minacce sono arrivate a Napoli, dove un corteo antifascista,(neanche troppo nutrito,a dire il vero),ha cercato a tutti i costi lo scontro. Purtroppo si contano feriti tra i militanti di C.P.I., alcuni anche in modo grave.
La situazione, ahimè, non cambia se si volge lo sguardo altrove. Ricorderete tutti il tentativo di aggressione a Maurizio Belpietro, direttore di “Libero”e, più di recente, la busta contenente bossoli ricevuta da Zaia, Presidente leghista della Regione Veneto.  Sicuramente saprete anche dell’aggressione subita da Gianni Lettieri, esponente del “Popolo delle Libertà” candidato sindaco alle elezioni del Comune di Napoli, che ha ricevuto invettive,(del tipo: “sei un fascista, devi morire”), urla e spintoni. Solo il tempestivo intervento della Digos ha evitato il peggio.
Episodi del genere, purtroppo, macchiano anche la cronaca degli ultimissimi giorni. Nella notte di giovedì 5 maggio, un trentenne, ricercatore universitario, è stato accerchiato da ragazzi in sella a due motorini, mentre passeggiava per le vie di Roma.  I quattro gli avrebbero chiesto: “sei un camerata?”; lui, dopo un breve tentennamento, avrebbe risposto di “”. Lo hanno colpito in pieno volto con il casco, prima di riempirlo di calci e pugni: 35 giorni di prognosi ed un probabile intervento chirurgico a cui sottoporsi. Infine, ad Ancona, nella giornata del 6 maggio, durante la manifestazione per lo sciopero indetto dalla Cigl, alcuni dimostranti hanno preso di mira la locale sede di Forza Nuova con lancio di uova, scritte ingiuriose ed intimidatorie,("fasci infami" e "fasci appesi"), addirittura effrazioni e chi più ne ha, più ne metta.
Insomma, la situazione appare sin troppo chiara e preoccupante: la sinistra italiana, (nella quasi sua totalità), palesa uno stato comatoso a livello ideale, culturale e politico, a cui cerca di ovviare con azioni di forza, aggressioni,minacce e quant’altro. E’ lo stesso identico modus operandi sperimentato anni addietro, nella fase sessantottina e post-sessantottina, gli anni in cui si diceva che “uccidere un fascista non è reato”, (dove "fascista", impropriamente, voleva dire qualsiasi forma di oppositore politico). Evidentemente, di quella decade di sangue e dolore la sinistra italiana sente la nostalgia, anzi la necessità impellente. Ricreare quel clima di tensione e di folle scontro, infatti, significherebbe dover rimandare l’ora di fare i conti con la storia, (che sta pian piano arrivando,dopo decenni di menzogne), nonché procrastinare il momento della costruzione di un movimento e di un progetto politico serio: evenienze per cui la sinistra italiana non è ancora pronta, incatenata come è nelle pastoie dell’ideologia passata, sconfitta non militarmente, ma dalla storia. Se penso che pure Napolitano se n’è accorto…
Ad ogni modo, creare un nemico pubblico numero uno, un mostro da cui mettere in guardia,  serve per guadagnare tempo e credibilità. Non importa che poi quel nemico sia da identificarsi con un vecchio fascista, un neo-fascista, un “fascista del terzo millennio”, un leghista, un moderato di centro-destra e/o un liberale; per loro sono, (siamo?), tutti uguali. Quel che conta è che non sia di sinistra, né riconducibile ad aree affini. Questa è una condizione necessaria e sufficiente per scatenare l’ira, la rabbia e la frustrazione, create da un fallimento epocale di cui, evidentemente, non ci si vuole avvedere. Di quale terribile ironia è capace la sorte: quella sinistra,che si autodefinisce come “progressista” e che è costretta a guardare indietro per tirare a campare; quella sinistra che vorrebbe dominare il futuro e che non sa neanche fare i conti col proprio passato. Cose da pazzi!
Se poi si pensa, infine, che questa gente è la stessa che suole riempirsi la bocca di “democrazia” e degli alti valori che da quest’ultima promanano, lo sdegno e la rabbia crescono, al punto tale da portarti a dire che, in fondo, le tanto deprecate “squadracce” fasciste non erano poi così tremende in confronto a questi loschi figuri; almeno quelle riportavano l’ordine in anni di profonda agitazione e malcontento, (sebbene a suon di manganello e di olio ricino),e non seminavano di certo il caos come i progressisti, anzi passatisti, del giorno d’oggi. Che sia giunto il momento di dire basta? Direi proprio di sì!
Roberto Marzola.
Fonti:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/16/busta-con-proiettili-per-luca-zaia-maroni-non-solo-atto-
dimostrativo/104943/


mercoledì 4 maggio 2011

1 MAGGIO,C.V.D. : SOLO RIMASUGLI IDEOLOGICI!

Ritorno, per chiuderla, sulla questione 1 maggio.  Spero non risulti anacronistica; purtroppo un evento cruciale, quale l’esecuzione di Osama Bin Laden, mi ha quasi imposto di occuparmi di altro nei giorni immediatamente successivi al 1 maggio.
Quest’anno la “Festa dei Lavoratori” credo che abbia veramente offerto il peggio di se stessa: scontri sindacali prima,durante e dopo la festa stessa, scene di pubblica isteria, atti vandalici e via discorrendo.  Non c’è che dire: il “miglior”, (si fa per dire, ovviamente), repertorio  della sinistra italiana, ormai da anni in crisi d’identità e capace di far sentire la propria presenza soltanto quando dà del “mafioso” e del “fascista” a Tizio o Caio, oppure allorché mette a ferro e fuoco Roma e Genova o, infine, quando si lancia nei suoi puerili girotondi.
Cominciamo da Piazza San Giovanni : un’indecenza sin dall’inizio! Suonano le prime note di “Fratelli d’Italia” e in sottofondo si sente un coro: “Berlusconi pezzo di merda”.Finardi attacca con la prima strofa dell’inno,ripetendola varie volte. In quasi tre minuti, la folla avrà cantato sì e no per 10 secondi, preferendo saltellare, neanche si stesse suonando “l’Uva fogarina” o altre canzoni folkloristiche. Evidentemente, per certe persone questo è il massimo del sentimento patriottico. C’è solitamente più decoro e c’è maggiore partecipazione durante le partite della nazionale di calcio: credo di aver detto tutto! Sia ben chiaro che non mi sorprende tutto ciò; del resto lo sanno anche i sassi da che parte vengono codesti signori: sono gli stessi che, fino a ieri, al Tricolore preferivano la bandiera rossa, (forse anche oggi, dato che talvolta quest’ultima ha fatto capolino durante la kermesse romana). Poi è stata la volta dei “Modena City Ramblers”, i quali non hanno trovato niente di meglio che cantare “I cento passi” e “Bella ciao”. Caparezza, invece, è riuscito a fondere due messaggi in una canzone sola,“Legalize the Premier”: vi sono chiari riferimenti alla marijuana, ai suoi derivati e affini, nonché al suo acceso anti-berlusconismo. Quando si dice: lanciare dei sani messaggi ai giovani e rispetto per le istituzioni, qualunque esse siano! Non è tutto, perché, dulcis in fundo, Ascanio Celestino è riuscito ad innescare persino una polemica contro i Papi, affermando che la beatificazione di Giovanni Paolo II il primo maggio è un “è un tentativo da parte della Chiesa di sovrapporre il tempo cristiano a quello laico. Come del resto ha già fatto”.
Lasciamo la Capitale e trasferiamoci a Torino e  a Milano, che non sono rimaste certo a guardare. In piazza San Carlo, capoluogo piemontese, al termine del comizio tenuto dalla rappresentante della CIGL Donata Canta, decine di giovani della sinistra antagonista hanno bruciato pubblicamente le bandiere della CISL. Al rogo di effigi hanno aggiunto cori e striscioni con slogan del tipo: “Cacciamoli tutti”, (con le immagini di Berlusconi, Bonanni e Marchionne), “da Pomigliano a Mirafiori del sindacato siete i traditori” e altre facezie del genere. E’ spuntata anche una ghigliottina di gommapiuma con la scritta Bertone sulla lama e Fiat sul manico.
A Milano, invece, i membri dei centri sociali, (quelli che in Italia vengono definiti “ragazzi vivaci”), hanno scagliato uova e gavettoni di vernice contro banche e agenzie,  lanciato cori minacciosi contro i negozianti e chi li difendeva, e imbrattato i muri della città con scritte del tipo: “più sbirri morti”, “Digos boia”, “chiudete o ve ne pentirete” e “lasciate ogni speranza o voi che entrate” (questi ultimi due rivolti,invece, ai negozianti). Non finisce qui: difatti hanno lanciato una novità assoluta nell'ambito della guerriglia urbana. Sono, infatti, arrivati anche a riversare un miscuglio chimico, a base di acciaio e schiuma poliuretanica, nelle serrature dei negozi, al fine di impedirne l’apertura. I danni ammontano ad oltre 50 mila euro, mentre le associazioni dei commercianti sostengono che i circa 4.000 esercizi commerciali aperti hanno guadagnato oltre 10 milioni di Euro. Alla luce di questo risultato, i negozianti fanno sapere di volersi attivare per ottenere un provvedimento che li autorizzi ad osservare due giorni soltanto di chiusura obbligatoria durante l’anno, (Pasqua e Natale), anziché i sette attuali, lasciando la mera facoltà e non l'obbligo di lavorare nei restanti cinque.
Insomma, il Primo Maggio in Italia si conferma una festa di partito: bandiere rosse, sindacati di sinistra a fare la parte del leone, frasi ingiuriose e minacciose, (alimentate da un mai sopito odio antifascista, nei confronti di ogni sorta d’avversario politico), atti vandalici, canzoni comuniste mascherate da canti di libertà eccetera, eccetera. Una festa che fa gli interessi di sindacalisti e politici, ma non dei lavoratori.
Mi chiedo: non dovrebbe essere una festa nazionale, cioè di tutti? Perché è solo di qualcuno?
Ma soprattutto mi domando: cosa ha a che fare tutto questo con le fatiche del lavoratore?
La risposta è ovvia: ASSOLUTAMENTE NULLA!  Quelle resteranno sempre le stesse, anzi sono destinate ad aumentare, se la situazione macroeconomica non cambia. A dire il vero, dovrebbero cambiare anche le teste di tanti signori, sempre bravissimi a difendere a parole il lavoratore, ma incapaci di sostenerli all’atto pratico. All’uopo, basti pensare che  buona parte dei sindacati e della sinistra indica nella flessibilità del lavoro il peccato originale, la causa di ogni male. Peccato che facciano finta di non ricordare che la flessibilità è stata introdotta con la legge 196/1997, il cosiddetto “Pacchetto Treu”, che prende il nome dal Ministro del Lavoro dell’allora governo Dini, oggi senatore del Partito Democratico. Vi rendete conto?
Direi che questi ed altri episodi  testimoniano benissimo il totale fallimento dell’apparato sindacale italiano, evidentemente troppo vicino alle segreterie di partito e troppo distante dai lavoratori, unici soggetti a pagare le conseguenze dei disastri commessi da chi i problemi dovrebbe risolverli, anziché contribuire a crearli; da chi dovrebbe dar loro lavoro, anziché imporre, senza la minima autorità, di tenere abbassate le saracinesche  e minacciare di ritorsioni chi osa comportarsi diversamente.
Bisogna girare radicalmente pagina; un primo passo potrebbe essere proprio la cancellazione della festività del 1 maggio, (magari accorpandola, come ho già suggerito, con quella, del 21 aprile, da istituire). Alla giornata non lavorativa potrebbe sostituirsi  un sostanzioso aumento della retribuzione per quel giorno, accompagnato da una detassazione “straordinaria” per venire incontro anche alle esigenze del datore di lavoro.
Non è che una proposta, da discutere eventualmente. E' certo che un simile provvedimento avvantaggerebbe sia il lavoratore che il datore di lavoro, mentre inchioderebbe alle proprie epocali responsabilità i sindacati, che tutto meritano, tranne che un “dì di festa” a loro dedicato.

Roberto Marzola.

lunedì 2 maggio 2011

OBAMA: QUANDO LA PLUTOCRAZIA MONDIALE SVELA IL SUO VERO VOLTO

Per decenni l’hanno scritto, detto, urlato: le odierne democrazie occidentali sono la realizzazione di un sistema perfetto, l’unico in grado di assicurare alla persona gli inviolabili diritti fondamentali. Per argomentare le loro affermazioni, hanno inventato di sana pianta la storia, coniando addirittura la singolare espressione di “male assoluto”, che indicherebbe una forma di stato priva dei summenzionati diritti.
Non ho mai condiviso simili affermazioni. Ho sempre pensato che offrissero una ricostruzione ideologica, faziosa e falsa della realtà, presente e passata. Non mi ha mai convinto l’equazione “democrazia=diritti”; anzi l’ho sempre ritenuta un teorema tutto da dimostrare. Il mero diritto,infatti, deve potersi realmente conseguire, altrimenti resta un’entità astratta e nulla più. Su questa convinzione, (comprovata da tutta una serie di fatti), ho impostato tutto il mio percorso formativo ed ha preso avvio il mio viaggio.
In queste ultime ore, questo mio convincimento ha trovato una ulteriore, profonda conferma. Infatti, Mr. President, Barak Obama, ha da poco lanciato un messaggio al suo popolo, dicendo sostanzialmente: “abbiamo ucciso Osama Bin Laden,giustizia è fatta”. La notizia, peraltro, è lungi dall’essere priva di ombre sulla sua veridicità. Addirittura, pare che la stessa foto, che ritrae lo Sceicco del Terrore morto e col volto sfigurato, fosse già comparsa su diversi siti internet cinque o sei mesi fa. Nutro forti dubbi su questa faccenda e credo che possa essere semplicemente lo spot elettorale di un Obama piuttosto in crisi, tanto in politica interna, (si vedano gli episodi dopo la riforma della sanità), quanto in politica estera, (si veda la figuraccia in Libia). Tuttavia, fino a prova contraria, la prendo per vera, pur con riserva.
Non intendo però dilungarmi oltre su certe questioni; la storia dirà se Bin Laden ha trovato oggi la morte o tempo addietro, oppure se è ancora vivo. Mi interessa ben altra questione: è lecito che il presidente degli Stati Uniti d’America, simbolo di democrazia, libertà e diritti inviolabili, pronunci simili parole di fronte ad un assassinio, dando per giunta la notizia in pasto ad una folla delirante ? Possibile, inoltre, che tutti i capi di stato e di governo delle democrazie occidentali gli vadano dietro, affermando che si tratta di una “vittoria per tutta l’umanità”?
In teoria, rimanendo fedeli alle premesse sistematiche, la risposta dovrebbe essere no. Osama Bin Laden, in quanto uomo, (salvo che non sia rimasto ucciso in seguito ad episodi bellici), avrebbe avuto diritto ad un regolare processo di fronte ai Tribunali internazionali. Allora le sue reali responsabilità in merito ai tragici fatti dell’11 settembre avrebbero dovuto essere provate, così come la sua fama di terrorista internazionale. Avrebbe potuto anche difendersi, anche se le sue parole, probabilmente, non lo avrebbero salvato dalla pena capitale, come del resto accaduto a Saddam Hussein.
La pratica, si sa, è ben lontana della teoria; stavolta, è addirittura posta a distanza siderale. Ritengo, infatti, che simili episodi non facciano altro che mostrare le vere sembianze delle democrazie moderne: un sistema diabolico, artatamente eretto per permettere a pochi e facoltosi signori di orchestrare i loro giochi di potere a suon di miliardi, che dà alle masse soltanto l’illusione di esserne parte e di contare realmente qualcosa. Un sistema mosso e retto dall’interesse economico, dalla legge di mercato e dei profitti, in cui tutto il resto viene svuotato di contenuto e valore; una vera e propria truffa, orchestrata puntando sui diritti, tanti, solenni e uguali per tutti, che esistono praticamente solo sulla carta e non nella realtà fattuale, in quanto basta il capriccio di uno solo o di pochi per spazzarli via e per fare di loro una barzelletta; diritti che vengono dati in pasto alle masse solo al fine precipuo di imbrogliarle, di illuderle, di rabbonirle, facendo loro credere di aver tutto in tasca, quando invece hanno davvero poco, forse nulla.
Per continuare questa diabolica finzione, non esiteranno ad offrire una ricostruzione dei fatti assolutamente di comodo che, ovviamente, verrà diffusa, insegnata e conculcata con tutti i mezzi a disposizione: mass media, scuole et similia. L’hanno già fatto in passato; lo faranno oggi e lo ripeteranno in futuro.
Eccovi, dunque, le fattezze delle sedicenti democrazie: un nuovo Leviatano, ben peggiore di quello di hobbesiana memoria,  di cui tutti siamo vittime silenziose ed inerti, neanche fossimo affetti da una gravissima forma della sindrome di Stoccolma. Un mostro che ci uccide lentamente, giorno dopo giorno; che altera la nostra percezione della realtà;che sposta avanti e indietro eventi storici a proprio piacimento: che pilota le nostre scelte, le nostre pulsioni e tendenze; che ci illude di concederci un qualcosa che, a ben guardare, è solo un astuto espediente che serve ad esso per autosorreggersi e per legittimarsi ai nostri occhi.
 Per quanto continueremo a voler farci sbranare da esso non è dato ancora sapere; io, nel mio piccolo, spero solo che questa agonia abbia davvero una fine, prima o poi.

Roberto Marzola.