BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


mercoledì 15 giugno 2011

ANCORA UNA VOLTA SUL “GRANDE PARTIGIANO” EVVIVA (COME LA CHIAMANO?) LIBERAZIONE?

di Filippo Giannini

  Fine aprile 1945, giorno della Liberazione. Voglio iniziare (ma solo per iniziare) con il ricordo di un grande uomo, grande uomo, anche se partigiano. Siano i lettori a giudicarlo.
Questo articolo necessita, però, di una premessa, cioè richiamarne alla memoria un mio precedente apparso su “Nuovo Fronte” del novembre 2000, con il titolo: “FRANCESCO MONTANARI, PARTIGIANO, MA GRANDE UOMO”. Ritengo necessario rileggerlo.
Avevo scritto: <La quiete agiografica nella quale si cullavano da anni le forze resistenziali antifasciste fu scossa violentemente un giorno del 1990. Accadde che un ex deputato comunista ed ex partigiano, l’ingegner Francesco Otello Montanari (“Cincino”), ricordando gli eccidi compiuti dai suoi compagni nelle giornate primaverili (e ben oltre) del 1945, lanciò appunto “quel giorno del 1990, un grido accorato: ‘Chi sa parli!’”.
Superfluo aggiungere che dopo quella denuncia intorno a Montanari fu eretta una cortina di silenzio e di omertà. Il dado, però, era tratto e l’ex partigiano voleva lavarsi completamente la coscienza. Nel 1994, venuto a sapere che lo Stato era pronto ad assegnare all’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) la somma di 20 miliardi, scrisse all’ex Presidente della Repubblica, Scalfaro minacciandolo: “Se consegnerete quei soldi, io mi brucerò vivo!”.
Sabato 17 febbraio 1996 “Cincino” Montanari affidò una lettera, che può essere considerata il suo testamento spirituale, ad un amico, l’avvocato Gustavo Raffi. Di quella lettera ricordiamo alcuni passi più significativi: “Sono certo che coloro i quali detengono le leve del potere faranno tutto il possibile per farmi passare per matto o anormale (…). Mi ammazzo perché so valutare la ‘sora’ morte nella maniera giusta, perché ho dignità, moralità, sensibilità e coraggio per cui, in questo letamaio pieno di miserie, ingiustizie e violenza – dove comandano i ladri, i delinquenti e i mafiosi – si potranno trovare bene i loro compari o le pecore, ma non il sottoscritto (…). Durante la guerra sono stato comandante partigiano (…). Non ho mai fatto scatenare terribili rappresaglie su gente innocente, non ho mai vigliaccamente giustiziato nessun fascista a guerra finita (…). Qui non c’è una sola cosa che funzioni per il verso giusto: si privilegiano gli stranieri illegali invece dei fratelli, si puniscono i ladri di galline e i piccoli evasori, ma mai i grossi: i sindacati insegnano solo i diritti (mai i doveri) (…). Provo ormai nausea a vivere in questa ripugnante società di ladri, di delinquenti e di pecore. Perciò vi dico ‘IO NON CI STO’ più e tolgo il disturbo!
Spero di avere sufficientemente chiarito che il mio non è un gesto inconsulto, ma un gesto di protesta nei riguardi dei principali responsabili di questo sfascio morale e materiale dell’Italia.
Vi saluto tutti, amici e nemici, e vi prometto che, se di là si sta peggio che di qua, vi scriverò. Ma se non riceverete niente, vuol dire che si sta meglio.
                                                                                                                    Francesco Montanari”>
 Il mio articolo così continuava: <I 20 miliardi furono consegnati all’A.N.P.I. e, da uomo coerente, Montanari, il 22 febbraio 1996 si dette alle fiamme ponendo atrocemente fine alla sua vita.
P.S. Da perfetti vigliacchi, ma coerenti, a parte un paio di quotidiani, i “mass-media” ignorarono il “fatto Montanari”>.
Sin qui le parti più salienti di quanto scrissi nel novembre del 2000. A metà aprile di quell’anno ricevetti una lettera dalla Direzione di “Nuovo Fronte” a firma di Livio Valentini, nella quale, in merito al “caso Montanari”, si legge: <(…). Senonché, giunto alla storia di Otello Montanari (in arte “Cincino”), mi disse che (lo scrittore Gian Paolo Pansa, nda) non era stato lui a lanciare la famosa frase. Inoltre, in occasione di una prolusione pubblica, tenuta una quindicina di giorni prima in Emilia, riguardante il suo ultimo libro, aveva incontrato il Montanari (vecchio, ma vivo e vegeto) col quale aveva avuto anche una discussione. Insomma ho rimediato una figuraccia, perché quella nota errata poteva inficiare anche la verità delle altre cose che raccontavo. Quella storia non me la sono inventata; l’ho ripresa da un articolo apparso sul n° 205 (novembre 2000) di “Nuovo Fronte”, che allego in copia.
Conoscendo la serietà del giornale, mi pare difficile che il sig. Giannini si sia inventato tutto, penso ad una omonimia (ma in tal caso non si tratterebbe di Francesco Otello Montanari, né sarebbe stato deputato)>.
Confermo tutto quel che scrissi, a parte che Francesco Montanari (“Cincino”) non fu deputato comunista (anche se sul sito http://digilander.libero.it/tricolore1/comuitalia.htm, attesta essere stato deputato comunista), ma questo, ai fini del gesto del capo partigiano, ha poca importanza. La lettera di Livio Valentini dimostra, una volta di più, la capacità dei comunisti di nascondere la verità. Infatti il Montanari incontrato da Livio Valentini doveva essere Otello Montanari (non Francesco, tanto meno “Cincino”). Ma questi non poteva non sapere che era esistito un suo omonimo e che fu proprio lui a lanciare quella frase che incriminava la maggior parte della “Resistenza”, ma soprattutto che era stato autore di un gesto tanto eclatante.
Francesco “Cincino” Montanari aveva 76 anni, era nato a Ravenna, ma abitava a Cesena. La notte del 22 febbraio 1996 salì su una vecchia “Ritmo” acquistata pochi giorni prima e la parcheggiò in San Mauro in Valle (una frazione di Cesena) dove si dette fuoco. Il suo corpo fu divorato dalle fiamme, ma rimasero intatte alcune copie del suo libro dal titolo: “Qui il più pulito ha la rogna”, libri che aveva posto accanto alla macchina prima dello stoico gesto. A maggior documentazione riporto uno stralcio di una lettera inviata a “Il Giornale” il 15 marzo 1997 dal signor Italo Tassinari di Padova che aveva fatto parte della stessa brigata partigiana di Montanari: <Ero amico intimo di Francesco “Cincino” Montanari, amico sino a recensire il suo ultimo libro “Qui il più pulito ha la rogna” (…). Anche Cincino Montanari era un capo partigiano che combatteva per  una Resistenza diversa e che non indusse mai ad atti come quello di Codevigo, dove la 28^ Brigata Garibaldi del Pci, comandata dal cosiddetto “eroe rosso” Boldrini, medaglia d’oro al Vm (figuriamoci) senatore della Repubblica per meriti resistenziali, passò per le armi circa 300 giovani nelle “radiose giornate” 10, 11 e 12 maggio 1945, cioè dopo la fine della guerra (…). Cincino, prima di suicidarsi, venne a trovarmi di domenica nella mia casa di Bellaria, in quel di Rimini, per salutarmi. Un addio semplice: “Caro amico Italo – mi disse – ti porto dieci copie del mio libro, diffondilo. Mi ucciderò mercoledì prossimo, perché in questo merdaio di grassatori e tangetocrati non voglio più vivere (…). Questa Italia nata dalla Resistenza, un parto che forse era meglio fosse stato aborto…”>.
Questa è la storia, per dovere di spazio molto concisa, di un grande uomo che è un onore avere avuto come avversario; non nemico. Perché poche cose ci dividevano da Lui.
   Cosa voleva dire “Cincino” con quel gesto? Chi scrive queste note può intuirlo. Forse, per iniziare, voleva denunciare se stesso come fuori legge. Fuorilegge proprio in quanto ex partigiano, perché il partigiano, dalle Convenzioni Internazionali dell’epoca non era riconosciuto come legittimo combattente, di conseguenza ogni uccisione da parte del partigiano di un fascista, o di un supposto tale, era un assassinio. Quanti furono gli assassinati nel periodo delle gloriose giornate? La cifra esatta non si sa e, forse, non si conoscerà mai. Pino Romualdi ha scritto: <Si parla di trecentomila persone, di mille famiglie interamente distrutte, di settemila donne e di molti fanciulli assassinati. I rapporti riservati che arrivano dalle province sono paurosi. Ma il governo tace>. Anch’io ricordo, ma ero un bambino, che si parlava di trecentoventimila assassinati. Ma se “il governo tace” qualcuno alla Camera parlò. In un verbale della Camera dei Deputati risulta che, nel corso di una seduta, l’onorevole Selvaggi si rivolse al Ministro degli Interni per chiarire, finalmente, quanti fascisti vennero uccisi dai partigiani a guerra conclusa. Si alzò imperiosamente l’onorevole Scotti del P.C.I. e, interrompendo il Ministro, urlò: <Sono trecentomila, li abbiamo ammazzati noi e abbiamo fatto ben!>.
   Ad ogni anniversario della “liberazione” si festeggia a San Paolo a Roma, in quanto dicono (sic!) che in quella località ebbe inizio la lotta di liberazione. Come al solito si dice mezza verità omettendo l’altra mezza. È vero che a Piazza San Paolo a Roma si sparò contro i tedeschi, ma è altrettanto vero che furono i granatieri del generale Solinas ad ingaggiare battaglia, come è vero che a battaglia terminata il generale Solinas e buona parte dei suoi granatieri aderirono alla sorgente Repubblica Sociale Italiana. E mentre i fascisti di Solinas si battevano contro i tedeschi, i partigiani dove erano? Bah!
   Quali erano le finalità dell’eroico partigiano? Ce le illustra Giorgio Bocca (sì, sì lo so che era un fervente fascista, ma sapete, come vanno le cose del mondo? Giorgio Bocca ci spiega il perché degli attentati: <Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. Ė una pedagogia impietosa, una lezione feroce>. Questo è confermato anche dal democristiano Zaccagnini che lasciò scritto: <(…). La rappresaglia che veniva compiuta era un mezzo per suscitare maggiore spirito di rivolta antinazista e antifascista, e quindi (l’assassinio) si giustificava>.   Ecco il motivo per cui mai, e sottolineo mai nessuno si presentò per salvare dei poveri ostaggi che stavano per essere uccisi. Alt! Un momento, uno ci fu, Salvo D’Aquisto, ma era notoriamente fascista e non fece nessun attentato, ma si presentò, si fece fucilare per salvare una dozzina di innocenti ostaggi. È ovvio, qualcuno osserverà: quale fascista sabotò l’iniziativa partigiana che pretendeva dopo l’attentato, una giusta rappresaglia. Salvo D’Aquisto, presentandosi e facendosi fucilare fece in modo di non far godere agli illustri sabotatori, il giusto riconoscimento: la fucilazione degli ostaggi.
   Come doveva svolgersi la lotta partigiana? Ce lo spiega Beppe Fenoglio ne Il partigiano Jhonny. <Alle spalle, beninteso, perché non si deve affrontare il fascista a viso aperto: egli non lo merita, egli deve essere attaccato con le medesime precauzioni con le quali un uomo deve procedere con un animale>. Eroico, vero? E voi andate a festeggiare simili persone? Avete un bel fegato!
   Evviva, sempre evviva la liberazione, che ci ha portato al governo i Berlusconi, i Fini, i Pertini, i Togliatti, i Secchia e mille e mille altri fior fiore di simili gentiluomini.
   Ah, se tornassero in vita i martiri delle rappresaglie…

Ho ricevuto una mail da un caro amico, di cui indico solo le iniziali. Dato che espone il mio pensiero sulla “fausta data” , lo propongo anche ai miei amici lettori.

25 Aprile

Io domani non festeggerò!
Non festeggerò perché non c’è nulla da festeggiare, non festeggerò perché ho tanti fratelli massacrati dai partigiani da ricordare, non festeggerò perché da quella data la mia Patria è diventata una colonia asservita al potere liberale, massonico e plutocratico mondiale, non festeggerò per non unirmi a coloro che dopo venti anni di “Osanna” passarono alle “radiose giornate” del “Crucifige” e che pretendono di rappresentare la parte migliore dell’Italia, non festeggerò perché il mio cuore piangerà sul bestiale massacro del mio Duce e sullo sconcio di Piazzale Loreto!
Se altri vogliono festeggiare come gli ex camerati che anche recentemente hanno voltato le spalle al loro passato chiarendo di quale miserevole pasta sono fatti, festeggino pure nella miseria delle loro piccole ed inutili anime.
Io domani piangerò i MIEI morti, io domani ricorderò i MIEI martiri, io domani Piangerò sulla MIA Patria ridotta a serva e schiava!
Io domani non festeggerò!!!

A.M.

P.S. Aggiungo solo che quanto scritto da A.M. potrebbe essere condiviso anche dall’ex partigiano Francesco Montanari.



 P.S. UN GRAZIE ALL'AMICO GIORGIO!

martedì 14 giugno 2011

CONSIDERAZIONI POST REFERENDUM

Si è chiuso questo referendum. Il quorum è stato raggiunto. Come ho già detto altrove, ora cambierà tutto. Cambierà tutto, però, perché nulla cambi.
Infatti, le società private che gestivano il servizio idrico rimarranno al loro posto. Il nucleare resterà sospeso come lo era dopo il decreto cd. "omnibus", fin quando a qualcuno non verrà la tentazione di riportarlo sotto i riflettori, perché, vale la pena ricordarlo, il referendum è una fonte di livello primario nella gerarchia delle fonti del diritto. Come tale, basta una legge di rango pari o superiore, purché successiva nel tempo, per far finta che il referendum non sia mai esistito. Berlusconi, invece, farà una sola udienza in Tribunale, dato che il legittimo impedimento non poteva "salvarlo" da settembre in poi.
Quindi dove sta il motivo del clamore di questo referendum? E' tutto nella logica politica. Le forze di centro-sinistra sono riuscite a spuntarla per la terza volta nel giro di poche settimane e già preparano l'arrembaggio.
A questo siamo arrivati: si usa uno strumento di democrazia diretta non per acquisire l'opinione del corpo elettorale su una specifica materia, ma per secondi fini, estranei alla materia stessa. In altre parole, si usa il consenso referendario come una clava per colpire l'avversario politico,come prescritto nelle più gelide e sterili logiche partitiche. Altro che "trionfo della democrazia", come qualcuno ha affermato festante; semmai è il trionfo della PARTITOCRAZIA, che ha reso tutti schiavi, dalle istituzioni al cittadino comune. Provate a rifletterci; vedrete che mi darete conferme.

Roberto Marzola.

venerdì 10 giugno 2011

GAY PRIDE: BASTA CARNEVALATE PROGRESSISTE!


Domani, sabato 11 giugno, si terrà a Roma l’ “Euro Gay Pride 2011”. Così, le vie della capitale verranno invase da gay, lesbiche, transgender e chi più ne ha più ne metta. Rivedremo i loro abiti succinti e i loro colori sgargianti; riascolteremo le loro musiche e i loro slogan. Insomma, assisteremo per l’ennesima volta alla solita sceneggiata “progressita”!
 Vedremo una fiumana di gente che ci dice quanto è bello e quanto è importante appartenere all’altra sponda.  Avremo modo di osservare qualche decina di politici ingessati e/o di sedicenti intellettuali, moralisti improvvisati, prendere le loro parti, un po’ per dovere di apparire aperti e moderati, un po’ per non chiudere le porte a qualche voto. I voti, si sa, sono come il denaro: non puzzano mai.
Stavolta hanno addirittura arruolato tra le loro fila, in veste di madrina dell’evento, niente po’ po’ di meno che Lady Gaga, “cantante” di successo, (permettetemi di accampare qualche dubbio sulla parola “cantante” usata in questo caso); una che, per dirla con Veneziani, non ha «nul­la di straordinario da giustificare la sua celebrazione planetaria. Questo succes­so si deve per metà alla cornice scandalo­sa, tra provocazioni e sorprese; e per me­tà al fenomeno virale, al contagio di mas­s­a che colpisce i deboli di testa o immuno­deficienti. […]Lady Gaga non è un mito ma un fenomeno da circo e da baraccone co­me la donna-mosca e l’uomo-ragno.E’ vergognoso pensarci, ma l’unica manifestazione di orgoglio europeo è dedicata a gay e trans e ha come simbolo Lady Gaga».
Una manifestazione che rivela la propria idiozia già dalla scelta del testimonial. Non me ne vogliano i fautori del “politically correct” e gli integralisti dell’uguaglianza a tutti i costi per le mie parole forti. Non mi diano del bacchettone, perché non lo sono mai stato, anzi… Al tempo stesso, si risparmino le accuse gratuite di omofobia: le rispedisco direttamente al mittente. Non c’entra nulla, infatti, l’omofobia; è una questione di intelligenza, di decenza e di buon gusto che mi spinge ad usare toni aspri nei confronti di certi eventi, che considero vere e proprie carnevalate.
Dicono di sfilare per la parità dei diritti, (e i doveri?), e per lottare contro l’omofobia; ma non è così che raggiungeranno lo scopo prefissato. Certi comportamenti beoti finiranno per attrarre su di loro antipatie sempre crescenti o, al massimo, un certo senso di pietismo ancor più umiliante di qualsiasi discriminazione.
La diversità dell’orientamento sessuale si vive con dignità, giorno dopo giorno, non facendone pubblica ostentazione, in una maniera che, peraltro, trovo volgare e confusa. Se questi signori/e vogliono davvero equiparare i loro gusti tra le lenzuola a quegli degli eterosessuali, devono imparare a vivere la loro stessa sessualità come la vivono proprio gli eterosessuali: in maniera pacata, decorosa, rispettosa della sensibilità altrui, senza momenti di esaltazione o isteria collettiva, (come il gaypride!), senza sfoggio della propria diversità. Se vogliono essere considerati “normali”, si comportino loro stessi come normali. Vivano la loro omosessualità in maniera sobria e contenuta, come fa la stragrande maggioranza degli eterosessuali; perché , in fondo, nessuno vieta loro di legarsi sentimentalmente, di tenersi per mano, di andare a convivere et similia. Nessuno, infatti, va alla caccia dell’omosessuale per fargli la pelle; questa è solo la demagogia di chi, a corto di idee da qualche decennio, cerca di cavalcare le istanze libertarie e “progressiste” di certa folla, sperando di risalire la china. Ciò  che chiedo a questi signori/e è solo di prendere coscienza della loro obiettiva condizione di diversità e di comportarsi di conseguenza; di essere, insomma, coerenti con le loro stesse scelte e consapevoli delle conseguenze che comportano. Di capire poi, una volta per tutte, la profonda differenza tra famiglia, intesa quale unione materiale e spirituale di un uomo e di una donna, costruita anche a fini riproduttivi, magari cementata da un vincolo di coniugio, e il loro modello di unione; differenza che, in questo campo, non potrà mai essere livellata, in quanto afferente a valori non negoziabili. La società, infatti, ha i suoi modelli, le sue millenarie strutture umane, naturali e sociali stricto sensu, come la famiglia stessa, che non possono essere certo distrutte da una minoranza, per quanto sostenuta, ipertutelata e foraggiata da tutto e tutti, se non al prezzo della completa “anomia” sociale. Un rischio che non vale davvero la pena di correre, specialmente se causato dalla lussuria, dall’esaltazione ideologica e dal desiderio di pubblica visibilità di qualcuno. Perché questo è il gaypride: un’orgia del pensiero;  il cimitero della ragione, del buon gusto e del buon costume.
Come sono lontani i tempi in cui il modello era costituito dal “buon pater familias”, quale ce lo tramanda la nostra Tradizione!  Direi che, di fronte a questa ondata autolesionista che avanza, sarebbe giunto il momento di invertire la rotta e di tornare a quei sani modelli, certi ed indefettibili, i soli in grado di assicurare un futuro alla società. Occorre, come dico ormai da un po’, farlo in fretta, prima che sia troppo tardi.
Roberto Marzola.

mercoledì 8 giugno 2011

FOTOVOLTAICO: FERMIAMO LA FOLLIA ECOLOGISTA!

Se è vero, come spesso si dice, che nel nome della libertà si sono compiuti alcuni dei più atroci delitti che la storia dell’umanità ricordi, stavolta un vero e proprio scempio si sta consumando in nome dell’ecologia. Tengo a precisare che qui non si parla dell’ecologia intesa nel suo senso più nobile del termine, ovvero di idee e discipline volte alla difesa e allo studio della natura e dell’ambiente naturale; mi riferisco piuttosto a quell’accozzaglia ideologica che cerca di ammantare di ecologia vere e proprie forme di integralismo, di ottusità e di esaltazione, che spesso celano folli speculazioni.

E’ il caso del fotovoltaico. Da tempo mi insospettisce questa vicenda, vale a dire il ricorso ad una fonte inaffidabile, perché produce poca energia, ad alto costo ed in maniera assolutamente discontinua, come discontinua è la presenza del sole. Onestamente, mi ha più volte sfiorato il sospetto che sia solo l’ennesima trovata truffaldina per mettere le mani sull'enorme mole di contributi pubblici elargiti per sostenere l’installazione di impianti fotovoltaici. Se non vi fossero i quattrini dello Stato, sarei davvero curioso di vedere quanti impianti esisterebbero e quanto è davvero profonda questa sedicente coscienza “ecologista”!
A corroborare questo sospetto sta il fatto che dietro all’amore per l’ambiente  si nascondono interessi milionari, foraggiati da autentiche leggi - truffa. E’ il caso dei “certificati verdi” o dei “conti energia”, istituiti dai “cocomeri”, (un modo simpatico per parlare dei Verdi,  verdi fuori ma rossi dentro), al tempo della loro breve e confusa reggenza, che prelevano quattrini direttamente dalle nostre tasche per destinarli a quelle di gente nota, come quelli del “Kioto Club”: una élite di imprenditori antinuclearisti ed ecologisti. Una massa di cialtroni e parassiti, a ben vedere, in cui affiorano nomi eccellenti, come quelli della “Sorgenia” , «componente del gruppo Cir («Compagnie industriali riunite»), controllata dal Gruppo De Benedetti, la holding di famiglia dell'editore di “Repubblica”»[1], che non si fa scrupoli a piegare una nobile causa, come l’ecologia, alla sua fame di danaro. Danari pubblici per giunta!  Ecco allora cosa si nasconde dietro la coscienza ecologista di questi signori: il più spregevole dei profitti, (48 centesimi di Euro per produrre 1 kWh, contro gli 8-10 di un reattore nucleare!). In pratica, si fa un referendum per impedire la tanto temuta speculazione nucleare e questi signori, zitti zitti, speculano già da qualche annetto alle nostre spalle e coi nostri soldi. Bell’affare!
Ma non è la questione meramente economica a farmi girare gli zebedei; non è neanche tanto l’assoluta inefficienza degli impianti; è soprattutto l’impatto tremendo che hanno sull’ambiente, devastante e destabilizzante sotto tutti punti di vista.
Nelle foto che seguono potrete vedere con i vostri occhi in che direzione stiamo andando: ettari ed ettari di terreno sottratti all’agricoltura e resi sterili a causa delle tonnellate di diserbante, sparso per impedire che le “tremende erbacce” minaccino i “magnifici ed ecologici” pannelli fotovoltaici. Possibile che di fronte a tutto questo nessuno si chieda cosa potrà più crescere su quei campi dopo più di un ventennio di aggressione chimica?  E dire che la risposta è semplice e scontata: niente. Un inaridimento progressivo; un danno ecologico incalcolabile che consegnerà intere zone coltivabili, da sempre ricche di frutti, al deserto. Un deserto materiale e spirituale. Già, perché il danno è anche paesaggistico: una cicatrice indelebile sulle dolci colline marchigiane che seducono per la loro bellezza e per la loro quiete; quei pendii dai colori tenui e variegati che ammaliarono artisti del calibro di Leopardi e di Carducci. Un patrimonio inestimabile, violentato dalla follia ecologista. E’ forse questo il mondo che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli? Un mondo in cui i bambini avranno difficoltà a capire che dalla terra nascono il grano e i girasoli, germogliano i fiori e crescono le piante, non i pannelli fotovoltaici? Direi certamente di no; anzi è ora di fare la voce grossa e fermare questo scempio finché siamo in tempo. Con buona pace di quell’incoerente di Celentano, che ieri cantava per fermare la costruzione di “case che non lasciano l’erba”, ed oggi vorrebbe consegnare prati e colline a questa SCHIFEZZA.
A seguire trovate qualche esempio fotografico della gravità della situazione. Ho fatto un giro attorno a casa mia. Non mi sono allontanato più di 5-10 km per dimostrare la diffusione e la vastità del problema. Ho scelto un cielo plumbeo e gonfio di pioggia per immortalare quei trabiccoli in silicio nella loro assoluta inutilità ed aridità. Mi scuso per la qualità non eccelsa delle foto, ma questo è quanto mi permettono le mie modeste tasche.
Buona visione,                                                                                                                                                              
Roberto Marzola.








lunedì 6 giugno 2011

REFERENDUM 12-13 GIUGNO: VADEMECUM PER IL VOTO

Care lettrici e cari lettori,
il referendum si avvicina ed è tutto un marasma di voci “pro” e “contra”. Tutti danno indicazioni, tutti spiegano questo e quel quesito. Insomma cercano tutti di tirare acqua al proprio mulino e l’arma è sempre quella: la strumentalizzazione e, spesso, la disinformazione. I quesiti vengono illustrati in maniera assolutamente parziale, interessata e grossolana, come se già non bastasse la formula del referendum abrogativo per confondere gli elettori!
Io non voglio far parte di questo caos: pertanto non vi dico né di votare né di non votare ;  né di votare per il “sì”, né di votare per il “no”. Il voto è vostro, (come tutte le altre illusioni…); fatene buon uso.
Mi preme solo sottolineare certe circostanze, così che sappiate per chi e cosa andate a votare.

Innanzitutto, ha ancora senso concepire lo strumento referendario? E’ dal 1995, infatti, che un referendum non raggiunge il quorum minimo, da quando cioè se ne propose uno sull’abrogazione delle norme che consentono la concentrazione di tre reti televisive. Votò circa il 57-58% degli elettori.
Da allora nulla. E dire che ce ne è stato uno anche sulla riduzione del numero dei parlamentari e uno sulla fecondazione assistita; ma di tutto questo non è importato niente a nessuno.
Un referendum come questo poi, può essere considerato davvero tale? Voglio dire: un referendum dovrebbe essere una consultazione popolare su un atto di legge; qui, invece, si sta proponendo un referendum per regolare rapporti tra le varie forze politiche. Si sta facendo, cioè, vigliaccamente leva sul sentimento della gente comune su questioni come l’acqua ed il nucleare, per tentare di convogliare i voti sul legittimo impedimento. Se vincerà l’astensionismo o se prevarranno i “no”,  sarà l’attuale maggioranza di governo, (che ha dato libertà di coscienza, sperando forse che gli italiani preferiscano il mare alla cabina elettorale), a gioire; se invece dovesse raggiungersi il quorum con una prevalenza dei “sì”, sarà l’opposizione a trionfare e chiederà al governo di dimettersi, anziché di rispettare la fatidica sovranità popolare e di lavorare a strade alternative. Vi sembra accettabile tutto ciò? Vi pare possibile che questi signori arrivino a scomodare il quesito referendario pur di regolare i loro fottutissimi conti? A me pare una presa in giro di dimensioni colossali; l’ennesima da parte di un sistema che ci prende in giro giorno dopo giorno.
Sia chiaro che le mie non solo parole preconcette, bensì basate su fatti specifici. In primis, c’è il fatto che Pierluigi Bersani, (uno dei principali sostenitori del “sì”), solo quattro anni fa firmava, in veste di Ministro per lo Sviluppo Economico, l’accordo con il Segretario Usa all’energia Bodman per una partnership sulla ricerca e sullo sviluppo dell’energia atomica, demoninato “GNEP”. L’accordo tra Italia e USA, per giunta, è ancora in vigore[1]. La notizia, già nota, è anche stata recentemente diffusa dall’affascinante Wikileaks, autentica croce e delizia di un sistema che ha paura dei suoi stessi ingranaggi.
Lo stesso Bersani poi glissa spesso su un altro dato, ovvero le alternative al nucleare. L’unica pare essere rappresentata dell’eolico e dal fotovoltaico, allo stato attuale totalmente inefficienti. Quindi cosa facciamo nell'immediato, stiamo a guardare? Restiamo al buio e al gelo? Non è dato sapere.

Le cose non cambiano affatto sul versante acqua. Innanzitutto, perché i promotori dell’attuale referendum tempo fa presentavano alla Camera un disegno di legge niente affatto diverso dalla legge oggetto del quesito referendario. Vedere il disegno di legge n.772 del 7 luglio 2006, a firma di : Bersani, Prodi, Amato e Di Pietro[2]. Strano vero?



In più, nel 2008 a Carpi lo stesso Bersani, intervenuto per sostenere la privatizzazione di una società di gestione dell’acqua e dei rifiuti, (come riportato nel video qui sopra), dichiarava allegramente: «gli acquedotti italiani perdono metà dell'acqua che trasportano. […] Come faccio a perdere meno acqua, a depurarla meglio, a investire bene i soldi pubblici? Devo chiamare uno che sa fare quel mestiere lì... È tutto qua il tema!»[3]. Traduco: è un bene che l’acqua resti di proprietà pubblica, ( e non può essere altrimenti, dato che l’acqua è un bene di nessuno, ovvero di tutti), ma è bene anche che la gestione degli impianti sia affidata a privati, perché possa essere resa efficiente. Questo è quanto sosteneva in illo tempore Bersani.
Il Decreto Ronchi, oggetto di referendum, propugna il ricorso a capitale privato, (poi ovviamente remunerato), per operare delle migliorie al sistema di distribuzione idrica, cosa che garantirebbe, almeno sulla carta, un taglio agli sprechi, ergo un miglior servizio e un conseguenziale abbattimento dei costi.  Oltretutto, venendo meno la parte pubblica dei finanziamenti, le pubbliche gabelle dovrebbero diminuire per forza di cose. Vi sarebbe anche l’obbligo di istituire pubblici bandi che, sempre sulla carta, dovrebbero affidare il servizio all’ente in grado di assicurare il miglior rapporto qualità-prezzo.
Cosa cambia, allora,  da ciò che dice Bersani nel video? Nulla! Solo che nel 2008 la privatizzazione dell’acqua era un impegno politico e personale, (e non poteva essere altrimenti, dato che come ministro e come amministratore regionale ha una storia da “liberalizzatore”); oggi, invece, proposta praticamente negli stessi termini, pare essere divenuta il nuovo “male assoluto”.
Ora, cambiare idea fa parte dell’uomo; ma cambiarla su tutto in presenza del quesito sul legittimo impedimento puzza proverbialmente di bruciato!
Questo è quanto, cari signori. Non aggiungo altro. Non voglio influenzare il vostro voto; vi prego solo di tenere davanti ai vostri occhi le ragioni brutalmente politiche di questo referendum. Questi signori sono disposti a giocare sulla nostra pelle, sul nostro futuro, persino chiedendoci di votare su questioni, come ad esempio il nucleare, che sono più da tecnici, da fisici ed ingegneri, che non da uomo comune. A loro, in fondo, non importa se dovremo dipendere vita natural durante dal petrolio e dal carbone, o se dovremo foderare le nostre pianure e colline con materiale fotovoltaico a base di silicio nella speranza che ci dia energia, (molto poca a dire il vero!), o se rischiamo di avere sempre meno acqua corrente in casa perché la rete idrica ne disperde più di quanta riesca a consegnarne all’utente finale. Di tutto questo non importa realmente un fico secco a nessuno; ciò che conta è fare la voce grossa contro Caio, Tizio e Sempronio, sapendo che tanto alla fine il prezzo di questi loschi giochetti lo pagheranno i poveracci, come me che scrivo o come te che leggi. Pensateci bene!

Roberto Marzola.

[1] http://www.dirittodicritica.com/2011/05/23/referendum-bersani-nucleare-20734/ -se non ritenete la fonte attendibile, cercate sul sito de “L’Espresso”!
[3] http://www.ilgiornale.it/interni/quando_bersani_difendeva_nucleare/04-06-2011/articolo-id=527192-page=0-comments=1

sabato 4 giugno 2011

LA NECESSITA’ DI UNA VERA LOTTA SENZA QUARTIERE ALLA DROGA

A New York si è riunita la Commissione globale sulle politiche delle droghe, l’organismo centrale del sistema ONU per il controllo delle droghe per la definizione delle politiche in questo settore, dando un responso agghiacciante: malgrado tutti gli sforzi sino ad ora compiuti, il consumo globale di sostanze stupefacenti è in continua crescita. «Nel rapporto si ricorda che in dieci anni, dal 1998 al 2008, i consumatori di oppiacei sono aumentati del 34,5%, passando da 12,9 milioni a 17,35. Quelli di cocaina sono invece balzati del 27% - tre anni fa erano 17 milioni - mentre i dipendenti dalla cannabis sono passati dai 147 a 160 milioni»[1].
Onestamente, non mi meraviglia più di tanto. E’ un dato sotto gli occhi di tutti: basta uscire qualche volta per rendersi conto che lo sballo ormai è un fenomeno diffuso in maniera capillare in tutte gli strati sociali, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla provenienza etnica e sociale. Non c’è distinzione che tenga: la tossicodipendenza riguarda ormai una massa eterogenea di persone.  
Ciò che mi meraviglia, invece, è l’opinione espressa dalla suddetta commissione. In buona sostanza, si dice che la lotta con gli strumenti penalistici è fallita ed è forse la causa principale della situazione attuale. Bisogna quindi lasciare la via della criminalizzazione per intraprendere quella della liberalizzazione.
Siamo forse usciti di senno? Prima si dice che il fenomeno è in crescente e preoccupante crescita, poi si propone una soluzione furbesca per aggirarlo: cancelliamo il reato, cosicché scompaia anche il fenomeno criminale. Un vero e proprio gioco di prestigio, insomma, che dovrebbe tagliare le gambe alla criminalità organizzata e tutelare la salute dei consumatori di stupefacenti.
Sarò franco: a me pare un’idiozia assurda. Mi viene addirittura il sospetto che questi signori stiano proponendo un semplice avvicendamento tra le fila degli spacciatori, dal pusher al servizio di sanità pubblica, magari per incamerare i profitti del consumo di stupefacenti. E questa sarebbe la misura di un più efficace contrasto alle organizzazioni malavitose? Nossignore!
Ritengo che una misura del genere produrrebbe effetti disastrosi, in quanto gli organismi criminali difficilmente rinuncerebbero ad un giro di affari così redditizio. Aggirerebbero l’ostacolo, probabilmente mettendo in circolo sostanze sempre più nuove, dagli effetti sempre più inconsueti e potenti, più stupefacenti, insomma, che i consumatori non potrebbero certo ottenere in maniera lecita. Un’altra strada potrebbe essere quella di una riduzione dei prezzi al mercato nero, in maniera da renderli più abbordabili rispetto a quelli praticati dalle strutture autorizzate. A meno che la Commissione globale non abbia in mente un modello come quello svizzero, in cui la droga viene pagata coi soldi dei contribuenti. Vi immaginate una soluzione del genere? In pratica non vi sarebbe alcuna differenza tra il ricevere un trattamento sanitario obbligatorio, un’iniezione di antibiotici per combattere una polmonite o che so io, e ricevere una dose. Siamo all’equiparazione di fatto tra una cura per una malattia, (che per definizione è “casuale”, nel senso che solitamente nessuno va alla ricerca di un male, fisico o psichico che sia), e il trattamento per una dipendenza volontaria da sostanze stupefacenti. Il tutto pagato dai contribuenti. In parole povere, io mi spacco la schiena per mantenere la tua dipendenza, per farti vivere in un mondo di allucinazioni, dominato dalla compresenza di piaceri sfrenati e dolori, spesso lancinanti.  Un’aberrazione totale; un delirio completo!
Mi rifiuto di prendere anche solo in considerazione ipotesi del genere. La lotta alla droga non si combatte mettendo la testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi, ed accettando il problema o fingendo che non esista, oppure etichettandolo come “normale” ; bisogna scendere in campo, piuttosto, e scontrarsi apertamente col problema, vis-à- vis, con una serie di misure integrate, che vanno dall’educazione nelle scuole, nelle università, nelle famiglie e nelle altre strutture sociali, fino ad un inasprimento delle sanzioni. Una guerra che rifugga l’idiota distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, perché non esistono droghe senza conseguenze, e che non tolleri il consumo personale. Il consumo di certe sostanze, (salvo che non vi siano esigenze medico-terapiche), deve essere vietato. Punto. Vieni colto anche con un solo grammo di sostanza addosso? Viene irrogata la sanzione, senza indugi e senza distinguo.
A tal proposito, si potrebbero studiare nuove pene ad hoc, che siano realmente in grado di strappare il soggetto dalla sua dipendenza e, al tempo stesso, di sortire un potente effetto deterrente.
A mio modesto parere, le pene detentive potrebbero essere rilegate ai casi di spaccio, di abitualità, di recidiva e di reato aggravato e pluriaggravato. Nei casi di più modesta entità, invece, si potrebbe fare ricorso a pene pecuniarie di cospicua entità e/o a lavori economicamente e socialmente utili, prestati obbligatoriamente e per un periodo proporzionato all’entità del fatto, magari in quei settori lavorativi dove il cliché vuole che gli “italiani non vogliono più lavorare”, soluzione che risolverebbe non uno, bensì due problemi. Misure da applicarsi con assoluta intransigenza, senza possibilità di scappatoie varie, come purtroppo accade attualmente. Naturalmente, bisognerebbe poi potenziare il controllo e la presenza delle varie forze di polizia negli ambienti più esposti, (discoteche, scuole ecc.), in modo da operare anche una efficace opera di prevenzione al problema, prevenzione che, ripeto, deve iniziare a livello culturale, sin dall’educazione in famiglia e nei primissimi anni di istruzione, sino ad instillare la sacrosanta convinzione che ogni forma di dipendenza è null’altro che una schiavitù volontaria, e che la salute, fisica e psichica, non può essere esposta ad alcun rischio.Si dovrebbe anche avere la forza e la volontà di promuovere, (se non di imporre), modelli e principi di vita eticamente, socialmente, umanamente e culturalmente validi, perché nulla mi toglie dalla testa che, in fondo, l'emergenza droga non sia che il riflesso di un vuoto etico, sociale, umano e culturale, causato dalla logica consumista e nichilista del mondo moderno.
Questa non è che una prima bozza, da vagliare, studiare e su cui discutere. Ma ciò su cui non si discute è che la droga è un fenomeno che non va tollerato né sottovalutato, bensì debellato, senza se e senza ma. Su questo non si transige. Sia chiaro.
Roberto Marzola.



giovedì 2 giugno 2011

EUGENIO SCALFARI: LA CIALTRONERIA A SINISTRA

Se c'è una convinzione che esprimo spesso, (anche dalle pagine di questo blog), è che la cultura, presa di per sé, non è né di destra né di sinistra. Ritengo che essa sia un concetto pre-politico, a cui la politica stessa dovrebbe guardare con occhio ammirato ed imparziale. 
Mi pare una considerazione piuttosto semplice; direi quasi scontata. Tuttavia, viviamo in Italia, Paese in cui l'ovvio diviene impossibile.
E allora si assiste, purtroppo, ad una sceneggiata, (tutta da ridere), in cui una parte politica precisa, per mezzo dei suoi barbuti esponenti da salotto, pretende di dare lezioni a tutti su tutto: dalla storia all'arte figurativa, dalla letteratura alla filosofia, dall'economia alla musica. In Italia, non si sa bene per quale teorema, tutto da dimostrare, l'intellettuale è per definizione di sinistra; chi non milita a sinistra o è un ciarlatano e/o un ignorante. Punto.Tertium non datur.
Personalmente, questa panzana non l'ho mai mandata giù; anzi, ho sempre sostenuto il contrario: spesso e volentieri dovrebbero essere rimandati a settembre proprio i sedicenti intellettuali , se solo vigesse una logica meritocratica. La lista dei possibili ripetenti è lunga, a cominciare dall'astro nascente Saviano, stimata mente di sinistra con qualche lacuna in grammatica. Stavolta, però, a fare una figura non proprio edificante è un decano della carta stampata: Eugenio Scalfari, padre e padrone del quotidiano "La Repubblica".
Ogni suo scritto nell'italico soviet della (in)cultura, viene spacciato per un'opera d'arte. Magari tra qualche tempo ci troveremo ad ammirare pure la sua lista della spesa. Chissà, tutto è possibile!
Di recente, ha compiuto un'altra fatica letteraria circa il rapporto tra eros e ragione. Una vera e propria "perla" che tutti i salotti snob del Paese hanno pubblicizzato, chi più e chi meno, tanto da mettermi la curiosità di leggere qualche recensione e qualche commento. Ve ne propongo uno che ritengo spassoso ed autorevole. Non mi dilungo oltre e lascio a voi ogni altro giudizio. Mi limito semplicemente a dire: "quod erat demonstrandum".

Buona lettura,


Roberto Marzola.


Impossibile non stroncare il libro di 

Eugenio Scalfari

Man mano che leggevo mi chiedevo: ma che roba è? Più sciampista che filosofo il fondatore di Repubblica scivola sul triangolo (isoscele).


Ho comprato l’ultimo libro di Euge­nio Scalfari. Avrei voluto scriverne bene per tante ragioni: per avviare in modo unilaterale e cavalleresco la civiltà del dialogo, per dimostrare che noi siamo signori, e a differenza loro leggiamo e re­censiamo le loro opere, e quando c’è ta­lento e bellezza per noi non conta di che parrocchia sei; per distinguere il polemi­sta dall’umanista e dire che i tempi ci di­vidono ma il pensiero vola più alto. Avrei voluto scriverne bene anche per il rispetto che ho già espresso verso un ve­nerando duca del giornalismo, gran di­rettore che ha inventato un quotidiano di successo. Ero stato invogliato al libro di Scalfari dal bel titolo saffico (Scuote l’anima mia eros, Einaudi) e dal coro di recensioni in sua gloria. Non tanto quelle prevedibili della Casa, La Repubblica e il gruppo annesso, ma dal Corriere della sera, i peana in tv, le marchette di Fazio, le seratone dedicate a lui, con resoconti salmodianti, i saloni del libro.
Man mano che leggevo però mi chiedevo: ma che roba è, cosa pretende di essere? Cenni di teologia e filosofia, letteratura e poesia, musica e autobiografia in una chiacchiera da sa-lotto (ah, il solito salotto snob che non avrei voluto citare ma qui c’è, in tutto il suo dorato vaniloquio). Una messa cantata a se stesso con un tono da Maestro di color che sanno. Né pathos né pensiero. Asserzioni dilettantesche del tutto infondate e inspiegate si alternano a ovvietà imbarazzanti. Cito a grappolo e a esempio: «Le mitologie, le religioni, le culture che hanno affrontato il tema degli istinti hanno avute tutte come motivazione profonda la ricerca dell’assoluto»; ma non è assolutamente vero, da Aristotele agli illuministi, dai positivisti a Schopenhauer e Nietzsche fino a Freud hanno trattato degli istinti senza ricercare l’Assoluto. Oppure: «Potere e tristezza sono i due elementi dominanti dell’epoca che stiamo vivendo »; ma davvero il potere «dominante» è una novità della nostra epoca? O la tesi che nessun poeta moderno «ha sentito Eros camminargli sul cuore», ad eccezione di Garcia Lorca: ma scherziamo? Da Leopardi e Foscolo al romanticismo inglese e tedesco, dalla poesia francese alle poetesse russe, dai decadenti ai crepuscolari fino agli ermetici sono fiumi di poesie moderne e contemporanee sull’amore. E Scalfari sostiene che la modernità ha messo in fuga Eros... E ancora, secondo Scalfari «la trasgressione è cara agli dei» quando invece tutta la mitologia è piena di punizioni divine, l’ hybris , la trasgressione. I trasgressori vengono dannati dagli dei all’inferno, ridotti a piante o animali, tormentati e maledetti... O sciocchezze del tipo: «La mistica cristiana vive un rapporto di coppia nel rapporto con Cristo». O errori elementari come quello sul triangolo amoroso: «Si tratta di un triangolo isoscele nel senso che pende più da una parte che dall'altra »: se è isoscele ha due lati e due angoli uguali, se pende più da una parte non è isoscele ma scaleno (scuola dell’obbligo). Apprendiamo poi che «nel Settecento la valutazione dell’interiorità è ancora allo stato nascente» (si vede che da Agostino a Pascal avevano solo scherzato). O la formidabile scoperta scalfariana «dell’istinto di sopravvivenza della specie»; l’aveva fatta un po’ prima di lui Schopenhauer, ma Scalfari qui ricorda una gag di Peppino De Filippo che inventava brani musicali già celebri da secoli. Scalfari poi ci spiega finalmente che l’Essere di Heidegger è nient’altro che eros, ma non «quello di Parmenide sempre simile a se stesso ma quello di Eraclito che si realizza in continuo divenire». A veder confuso l’essere con l’eros,e il suo pensiero parmenideo con Eraclito,Heidegger si sarebbe gettato nel Reno. O banalità del tipo: «A me sembra che la nostra vita sia dominata dall'istinto di sopravvivenza » (ma davvero?) «l’infanzia è l’innocenza» (ma dai), «sono innocenti gli animali perché vivono secondo la loro natura senza consapevolezza» (ma sul serio?). «La desideranza che ci pervade coincide con la vita. Desideriamo la vita perché sappiamo che moriremo» (ma non mi dire). «Trovo molto significative sia le parole del Getsemani sia quelle del Golgota» (ma no, in duemila anni nessuno aveva dato peso alle parole di Gesù). E poi citazioni dannunziane di tre pagine e insensate autocitazioni dal proprio romanzo ancora più lunghe. Per finire: «Se volete un gergo più filosofico: l’ente che io sono è stato colorato di Eros»; no, questo non è gergo filosofico, è solo tintura. Come definire la filosofia erotica di Scalfari? Direi sciampismo. Tanto sapone, nessuna sostanza. Pensiero ridotto a chioma; non psicologia ma tricologia. A questo punto meglio Luciano De Crescenzo che vuol dilettare con la filosofia e non ergersi a maestro. Non ho antipatia per Scalfari, anzi. E non ce l’ho con lui; ognuno, me compreso, ha un gran giudizio di se stesso. Lui confessa la sua boria e boriosamente la ribattezza «albagia», per nobilitare pure la presunzione. Ma capisco e rispetto comunque il gran giornalista e la sua età; anzi, all’inverso dalle mie intenzioni, dopo il libro ho rivalutato il giornalista rispetto all’umanista. Quel che non sopporto è questa repubblica delle lettere così falsa e così cortigiana che incensa senza leggere o legge senza il minimo senso critico. Ma possibile che nessun filosofo o scrittore, nessuna libera intelligenza, senta l’impulso onesto di indignarsi davanti a queste venerate imposture e insorga per restituire verità a persone, idee e autori? L’atroce domanda che poi sorge, che sconforta e consola al tempo stesso, è: quante opere acute e profonde dove si avverte il respiro della bellezza, il tormento dell’intelligenza e il soffio della vera cultura vengono negate e ignorate mentre si esaltano i palloni gonfiati? È quello che fa rabbia, non la canuta albagia di un distinto signore in età grave. 
Marcello Veneziani