BENVENUTI, CHIUNQUE VOI SIATE

Se siete fautori del "politcally correct", se siete convinti che il mondo è davvero quello che vi hanno raccontato, se pensate di avere tutta la verità in tasca, se siete soliti riempirvi la bocca di concetti e categorie "democraticizzanti", sappiate che questo non è luogo adatto a Voi.

Se, invece, siete giunti alla conclusione che questo mondo infame vi prende in giro giorno dopo giorno, se avete finalmente capito che vi hanno riempito la testa di menzogne sin dalla più tenera età, se avete realizzato che il mondo, così come è, è destinato ad un lungo e triste declino, se siete convinti che è giunta l'ora di girare radicalmente pagina , allora siete nel posto giusto.
Troverete documenti,scritti, filmati, foto e quant'altro possa sostenervi in questa santa lotta contro tutti e tutto. Avrete anche la possibilità di scrivere i Vostri commenti, le Vostre impressioni, le Vostre Paure e le Vostre speranze.

Svegliamoci dal torpore perché possa venire una nuova alba, una nuova era!


mercoledì 6 aprile 2011

LA SITUAZIONE A MANDURIA: TESTIMONIANZA DIRETTA.

Un mio caro amico vive a pochissimi chilometri da Manduria, città della provincia di Taranto, salita agli onori della cronaca per aver accolto parte delle migliaia di clandestini sbarcati a Lampedusa.

Ci tengo a riportare esattamente quanto mi scrive da una settimana a questa parte, ritenendo le sue parole una descrizione ben più realistica di quella offerta dai giornali.

31/03/2011


AIUTO! ch'o gli africani in casa!





sentite le ultime da berluscolandia?

Sgombero dei profughi da Lampedusa in 48 ore... peccato che il problema viene spostato da un altra parte e cioè a meno di dieci km da casa mia.
A Manduria/Oria infatti, dove inizialmente (solo 2 giorni fa) era previsto un accampamento per soli 800 clandestini, nelle prossime ore ne arriveranno altre 3000 circa.
La cosa che mi fa ridere è che sta gente gode di uscite libere dal campo, e come è naturale che accadesse, è scappata quasi tutta dal centro di raccolta "profughi"...
Fino a ieri ne sono scappati ben 800.
E infatti oggi Francavilla sembrava il centro di Tunisi, con sta gente che affolla liberamente strade cittadine e la stazione ferroviaria, senza che nessuno si ponga il problema di riportarli "a casa" (chiaro tentativo da parte delle istituzioni locali di sbarazzarsi al più presto dei clandestini dalla provincia e regione diretti al nord).
Stamane il sottosegretario all'interno Mantovano, che aveva promesso alla popolazione locale lo stop assoluto di nuovi arrivi in Puglia, si è coerentemente dimesso perchè le nuove direttive nazionali hanno tradito le sue parole(notare come i tg nazionali hanno ignorato la notizia). Dimessosi anche il sindaco PDL di Manduria 
Notizie prese quasi per caso dai responsabili della gestione del campo profughi di Oria/manduria, ci svelano l'arcano:
la caritas ed in particolare la diocesi di Oria aveva offerto al governo italiano più di 2800 posti per l'accoglienza dei profughi... così la politica chiaramente sottomessa ai clientelismi clericali, ha disposto la traslazione di circa 3000 anime vaganti nella mia provincia...

INSOMMA, LA SOLITA PAGLIACCIATA ALL'ITALIANA!

...e intanto c'è chi continua a parlare male di noi


05/04/2011
A commento dell'articolo "Non provate a rimpatriarci. Scateneremo una guerra".


non dirlo a me che abito ad appena 9 km da quell'accampamento...

La questura ed i politici locali vogliono sbarazzarsene al più presto (e vogliono che scappino), ma devono comunque recitare la farsa di chi riesce a gestire il problema per bene. Le tv locali che stazionano h.24 su h24 fuori la tendopoli,costringono le forze di polizia a recitare la parte ogni qual volta si accende la luce di una telecamera... CHE PAGLIACCIATA!
La solita farsa all'italiana!

Dall'altra parte ci sono i soliti partiti di sinistra che suggeriscono agli africani come comportarsi e cosa dire alla stampa e alle autorità. Sono stati ammaestrati per bene.
L'altro giorno c'è stata una piccola rivolta perchè ai clandestini veniva somministrata sempre la solita pietanza,i "maccaroni". Già, forse avremmo dovuto mandargli un maitre de range per soddisfare le loro lussuose esigenze ........
La cosa che mi fa incazzare è che nessuno si permette di dire nulla contro questo abuso....
che italietta di merda! Spero veramente di essere arrivati alla fine.

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Queste sono le parole dell'onesta gente di Puglia. Gente stufa delle promesse della politica, tanto di destra quanto di sinistra, che deve fare i conti con mille problemi, (a cominciare da quelli occupazionali), e ora anche con questa ondata migratoria. 
A me non resta che aggiungermi al suo coro: "che italietta di ..., spero veramente di essere arrivati alla fine"!

Grazie all'amico R. 

Roberto Marzola.

martedì 5 aprile 2011

IMMIGRAZIONE: COME VOLEVASI DIMOSTRARE

Ecco la miglior risposta alle mie preoccupazioni sull'immigrazione. Tuttavia, vista la gravità della situazione, avrei preferito che si fossero rivelate completamente infondate, piuttosto che così tremendamente vere.

Buona lettura,

Roberto Marzola.


"Non provate a rimpatriarci.Scateneremo una guerra"

Manduria, la rabbia dei tunisini: "Meglio morire qui". La Questura ordina di usare la diplomazia invece dei manganelli


Manduria (Taranto), 4 aprile 2011 - «Meglio morire qui che tornare in Tunisia». Hedi Naffeti, 40 anni, calzolaio di Sfax, indica i suoi compagni — 500 tunisini che dieci minuti prima delle sedici sono sciamati dal campo di contrada Tripoli al grido di «Libertà libertà» — e con una smorfia sentenzia: «Questo è niente. Non ho nulla da perdere, nessuno di noi ha nulla da perdere. Se torno in Tunisia divento pazzo, e perdo il rispetto dei miei figli. Se provano a rimpatriarci, qua scoppia l’inferno».
Hedi non è il solo a pensarla così: è il comune sentire. Hamadi Ksouri, uno dei portavoce degli immigrati, non ne fa mistero: «Chi è arrivato a Manduria ha superato sfide terribili. Io sono qui per rivedere mio figlio, che sta a Genova, non lo vedo da anni, ma la stragrande maggioranza dei miei fratelli vuole solo una cosa, lasciare l’Italia, andare in Francia, in Belgio, in Svizzera. Se pensate di fermarci non avete capito nulla». 


Hamadi, che parla un ottimo italiano, è uno dei leader moderati all’interno del campo. Ogni gruppo regionale ha i suoi capi, e molti usano meno diplomazia. «Dicono che Berlusconi andrà a Tunisi — osserva Mohamed Meshdy, 26 anni, elettricista, leader di un gruppo proveniente da Sidi Habib — ma se otterrà di farci riaccogliere nel nostro Paese e crede che noi accettiamo ha sbagliato i suoi conti. Se ci dicono di ritornare, qua scoppia la guerra».
E c’è da credergli: la pavimentazione del campo, fatta in pietrume, e la presenza dei pali della vecchia recinzione dotano i migranti di proiettili e potenziali arieti. Le forze dell’ordine lo sanno bene, e per questo quando alle 16.10 i migranti ‘sfondano’ ancora e si riversano fuori dal campo, il questore di Taranto, Enzo Mangini, dà ancora una volta l’ordine di usare la diplomazia invece dei manganelli. Esce tra i migranti affiancato da una mediatrice culturale, e tratta per due ore. Dice che «presumibilmente il governo sta preparando un decreto sulla base del quale sarà possibile rilasciarvi un permesso umanitario, ma per averne diritto dovete tornare dentro». Non gli credono. «Tutti i giorni — replicano — ci dite: domani, domani. Ma voi volete solo cacciarci». Dei 500 usciti dal campo — che formalmente conterrebbe 1.350 migranti, cifra accorta con una franca risata dai tunisini, che replicano, «esagerati, siamo meno della metà!» — un centinaio se ve va indisturbato verso Oria e da lì verso il Nord, 300 rientrano e gli altri 100 a tarda sera erano ancora accampati fuori, a trattare con la polizia.


A presidiarela strada, con le forze dell’ordine che non provano minimamente a bloccarli. «Ormai, abbiamo il controllo del campo», ammette con freddezza Mohammed, 23 anni, disoccupato di Tunisi. E visto che l’altroieri sono usciti due volte, e ieri pure, una alla mattina e una al pomeriggio, è una percezione non lontana dalla realtà. Pur di non irritarli, si lascia fare. A sera nel campo di Manduria la protesta si è spenta pacificamente per il secondo giorno consecutivo. Ma il problema sarà se e quando verrà l’ora di riportarli a casa. Un grande problema.
dall'inviato Alessandro Farruggia


Continua a leggere su: http://qn.quotidiano.net/cronaca/2011/04/04/484465-provate_rimpatriarci.shtml#ixzz1IdQhRU74

RINGRAZIAMENTI E CHIARIMENTI

Ringrazio davvero di cuore tutti coloro che si stanno impegnando, più o meno consapevolmente, nel pubblicizzare questo blog.

In particolare, ci tengo a ringraziare i miei avversari e denigratori, che si prendono addirittura la briga di pubblicare i miei scritti, contribuendo a diffondere il mio messaggio.

E' grazie anche al vostro impegno che questo blog ha tagliato già da giorni e giorni il traguardo delle 1000 visite e punta ormai dritto alle 2000, in circa 20 giorni.

Noto con altrettanta gioia che c'è chi si è preso la briga di riesumare tragedie del passato, ormai quasi dimenticate. Me ne rallegro sinceramente, perché in fondo vuol dire che questo blog si è davvero incamminato sulla strada giusta: muovere le coscienze, stimolare l'attenzione e conservare la memoria.

E se mi ritengono un "inceppamento" nel percorso evolutivo, un "idiota" o un "omuncolo", poco importa. Continuerò a tirare dritto per la mia strada, senza deviazioni e senza perdere tempo con assurde questioni, come ad esempio le querele. Preferisco tutelare il mio onore con i fatti sul campo di battaglia.
Le querele le lascio agli altri. Anzi, mi querelino questi signori, evidentemente dalla coda assai di paglia, e non solo per il delitto di cui all'art. 595 del codice penale, (ovvero la diffamazione); mi aspetto anche una denuncia per il reato di "apologia del Fascismo", previsto dalla L. 645/52. Abbiate il coraggio di farlo, così magari vi dimostrerò che una persona "di destra" non teme affatto i tribunali. Ne sarei addirittura quasi felice,a dire il vero, in quanto sarebbe l'ennesima dimostrazione di quanto ho scritto sino ad oggi.

Ad una cosa soltanto state attenti: ad essere sicuri delle vostre affermazioni e a meditare su ciò che avete fatto. Siete davvero così sicuri di essere trasparenti, irreprensibili e rispettosi della legge? Perché poi sappiate che verrete ripagati con la stessa moneta...

Dopo tutta questa felicità, una cosa però mi rattristerebbe: sapere che l'ironia è a senso unico e "che se non accettiamo più neanche quella, siamo davvero alla frutta". Voglio sperare che non sia così, anche se ci credo poco!

Grazie a tutti,

Roberto Marzola.

lunedì 4 aprile 2011

LIBERTA’: ILLUSTRE SCONOSCIUTA

Si fa un gran parlare nella società democratica, (o sedicente tale), della libertà. Di quest’ultima si potrebbe dire che, stando alle solenni affermazioni che ne fanno i  teorizzatori ed accaniti sostenitori, sia addirittura il tratto peculiare e, allo stesso tempo, il fine che anima queste forme di stato. Addirittura, si arriva ad affermare che la libertà possa essere garantita solo ed esclusivamente nei sistemi democratici.
Questa è la teoria dominante. Anzi, preferisco dire che questo è il luogo comune più diffuso.
Ma è davvero così? Cosa è davvero questa libertà?
Darne una nozione esatta, credo sia un’operazione diabolica, sovraumana,al limite dell’impossibile.  Molti hanno provato a darne una definizione; altrettanti ne hanno data una diversa, magari di segno opposto. Così c’è chi, come ad esempio Locke e Kant,  parla di “libertà negativa”, ossia dell’assenza del potere da parte dello stato di coartare la personalità dell’individuo. In altre parole, quest’ultimo è destinatario di una sorta di spazio vuoto sul quale è l’assoluto signore, entro i cui confini può fare tutto ciò che vuole, purché ciò non porti ad invadere e a limitare la libertà degli altri. Altri, come Rousseau e Montesquieu, parlano invece di “libertà positiva”, che coincide con il libero arbitrio, (ovvero autonomia nelle proprie scelte), sul piano personale e privato, mentre su quello pubblico significa essenzialmente obbedire ad una volontà di cui si è parte, giacché tendente al bene comune. Libertà cioè significa partecipare al processo di autogoverno di un popolo, capacità di influenzare in qualche modo la produzione delle leggi a cui poi si dovrà obbedire.  Vi sono poi tante altre teorie che, tutte insieme, costituiscono un vero e proprio “mare magnum” in cui i filosofi di ogni tempo hanno provato il  “dolce” diletto di “naufragare”.
E’ proprio il caso di dire: quod erat demonstrandum. Ognuno, filosofo, politico o semplice uomo qualunque che sia, ha la sua concezione di libertà, con l’unica conseguenza possibile che la sorte capitata a questo termine è “davvero comica. In alcuni casi esso significa precisamente il contrario di ciò che significava cinquant’anni fa; ma i sentimenti che fa nascere rimangono sempre gli stessi, e cioè esso indica uno stato di cose favorevole a chi l’ascolta. Se Tizio vincola Caio, questi chiama libertà il sottrarsi a tali vincoli; ma se poi, a sua volta, Caio vincola Tizio, egli chiama libertà il rafforzare tali vincoli; in entrambi i casi il termine libertà suggerisce  a Caio sentimenti sgradevoli” (Pareto, “Trattato di Sociologia generale”).
Il mio campo d’indagine, tuttavia, non è la filosofia. Dall’alto delle mie modeste capacità, cercherò di esaminare la realtà dei fatti, lo stato nelle cose nell’attuale sistema democratico. Userò niente altro che i miei occhi, le mie orecchie e le mie esperienze personali, a cominciare da quella vissuta con il presente spazio, per combattere questa assurda identificazione tra democrazia e libertà.
Nella “repubblica democratica, fondata sul lavoro” la libertà è più che altro un proclama formale. Come  si può, infatti  parlarne in un paese che è schiavo sin dal giorno che dovrebbe rappresentare la sua nascita? Come si fa a definire “libero e liberato” un paese che ha scelto di sottomettersi completamente ai voleri del vincitore? Come si può parlare di “libertà”, di “indipendenza” e di “autonomia” nel caso di un paese che ha dovuto persino pilotare e falsificare un plebiscito per darsi la forma attuale? E’ sin troppo ovvio il fatto che ci hanno imposto forma di stato e di governo, sistema economico e bancario, mode, costumi e tanto altro, sin dall’alba della repubblica; purtroppo fingiamo di non accorgercene. Addirittura, vengono studiati i nostri gusti, le nostre inclinazioni e le nostre pulsioni per cercare di dominarle ed indirizzarle nella direzione che vogliono. Per farlo si sono letteralmente inventati il processo di progressiva globalizzazione, voluto per tutti da pochi e spacciato come l’unica forma di emancipazione dalle catene dell’ignoranza e della fame, nonché “l’Unione Europea”, niente altro che un ammasso di burocrati e passacarte,che dicono di rappresentare davvero “l’unione dei popoli europei”, e che impiegano il loro tempo e i nostri soldi per studiare la curvatura delle banane.
Insomma, già sul piano pubblico, il concetto di libertà si dimostra ben lontano da quello che, a loro tempo, avevano teorizzato illustri pensatori, artisti e filosofi. E’ una condizione imposta dall’alto ad una massa indistinta di persone, per rassicurarla e per illuderla che non abbia nulla da temere.
La situazione non cambia,né può cambiare,sul piano privato. La libertà personale inviolabile, il domicilio inviolabile, la libertà e segretezza della corrispondenza, la libertà di associazione, di fede, di manifestazione del pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, così solennemente sancite dalla costituzione repubblicana, sono solenni bugie, buone soltanto per cucire la bocca a qualche beota credulone, per convincerlo di essere un ingranaggio fondamentale della complessa macchina repubblicana. Non servono abilità particolari per rendersene conto: basta avere buoni occhi e buone orecchie e, soprattutto, la testa sgombra da vomitevoli rimasugli ideologici.
Per capacitarsi di cosa voglia dire “libertà” oggi in Italia, infatti, basterebbe osservare cosa è accaduto e cosa accade quando qualcuno si permette, (già la scelta del termine è assolutamente emblematica e riassuntiva della situazione), di toccare i mostri sacri di questa repubblica, ossia l’antifascismo e la resistenza. Ieri lo fecero i ragazzi del Fronte della Gioventù e i rappresentanti del Movimento Sociale Italiano, i quali volevano dire che del Ventennio si dava un giudizio a-storico, falso, ideologico ed assolutamente ingrato; che la resistenza non era stata affatto quel movimento spontaneo e pacificatore, ispirato da principi di libertà e giustizia sociale; che Berlinguer e compagni “non erano la Madonna”. Quei militanti hanno pagato caro, spesso col sangue, la loro libertà di pensiero: sono stati messi al margine della politica e della società, con lo stigma perpetuo del “male assoluto”, dei negatori della libertà e fandonie varie.
Le cose, purtroppo, non sono cambiate oggi, sebbene sia scorsa parecchia acqua, (e parecchio sangue), sotto i ponti e le affermazioni di quegli uomini e di quei ragazzi siano diventate una verità storica dimostrata e, ciò malgrado, ancora rifiutata e negata. Così c’è chi ancora si esprime in termini di “male assoluto”; chi usa ancora le categorie dell’antifascismo e urla a squarciagola “resistenza sempre”;  chi vorrebbe usare le leggi penali per contrastare l’opinione altrui, (non basta la legge Mancino-Scelba, ritenuta troppo all’acqua di rose, ne serve una più severa, così come si vorrebbe una legge che qualifichi come delitto qualsiasi tesi non convenzionale sull’olocausto); chi aggredisce col lancio di monetine un ministro; chi lancia sassi e bottiglie contro dei ragazzi che inaugurano una sede, (magari solo perché si ispirano ad Ezra Pound); chi continua a definire “fascista” un esponente politico che fa pubblicamente professione di antifascismo; chi costringe un giornalista e uno storico a vivere sotto scorta, in quanto“colpevoli” di aver affermato e riportato alla luce una verità storica, (chiedere a Pansa o a Pirina); chi è ancora in galera per una strage che non ha commesso, (domandare a Luigi Ciavardini); chi tira un petardo ad un rappresentante sindacale e se la cava con una lavata di capo, in quanto figlia di magistrato…
Ci sarebbero tante altre circostanze da elencare, ma mi fermo qui. Credo di aver già dato un numero sufficiente di esempi per far capire cosa significa libertà in questa “repubblica democratica”, “nata dall’antifascismo e dalla resistenza”: un riconoscimento da quattro soldi da riconoscersi a chi decide di chiudere gli occhi, le orecchie e di mettere a dormire la propria coscienza, la propria curiosità e la propria sete di sapere. Chi si adegua può tutto, (salvo poi dover pagare il conto alla fine,soprattutto in cabina elettorale), e la sua libertà significa tiepida anarchia, facoltà di abbaiare, sbraitare, insultare e persino distruggere e incendiare. Tutto è lecito, (purché poi si garantisca il tornaconto elettorale), con buona pace di quel Voltaire di cui sono soliti riempirsi la bocca.
Una cosa, arrivati a questo punto, mi preme sottolineare: questo non è lo scritto di chi reclama per se stesso la libertà o, meglio, di chi desidera un pezzo di questa libertà.  Infatti, di questa libertà “democratica”, falsa, ipocrita e servile non saprei che farmene. Se accettarla vuol dire essere libero, per favore “liberatemi dalla libertà”,(come ebbe a dire Claudel in “Lo spirito e l’acqua”), da questa “ laida baldracca” con cui spero di non dover mai “accettare il minimo compromesso”, né “con i suoi logorroici manutengoli”,(Rutilio Sermonti, “Testamento spirituale”).
Alla loro libertà, voglio opporre la mia libertà, che poi è la libertà di tutti coloro che credono in un sistema politico, economico, sociale, etico e valoriale diverso da quello odierno.
Voglio una libertà che sia innanzitutto figlia della verità, perché “la libertà è una grande realtà, ma significa, soprattutto, libertà dalle menzogne”, (D.H. Lawrence, “Pornografia e oscenità”).
Voglio una libertà che parli italiano.
Voglio una libertà che cresca con la cultura, con la storia, con la gente e con la Tradizione della mia terra.
Voglio che di questa libertà si nutra la mia patria, la mia Nazione e gli italiani che in esse vivono, senza che barbari invasori, giunti ormai da decenni a casa mia, possano eccepire alcunché.
Voglio una libertà che conosca un limite, giacché “non esiste una sola cultura al mondo in cui sia permesso di fare tutto” (Foucault, “La follia, l’assenza di opera”), limite rappresentato unicamente dal bene indissolubile della patria.
Voglio una libertà che sia difesa da uno stato forte e accentrato, giacché è mia ferma convinzione che, contrariamente a quanto si possa pensare, proprio lo stato forte sia la miglior garanzia per la libertà, considerata sia nella sua dimensione pubblica che in quella privata. Come altri hanno detto, “l’ordine e la disciplina” sono condizioni necessarie perché si possa parlare di libertà, la quale, in loro assenza, diviene “dissoluzione e catastrofe”(Mussolini).

Voglio,insomma, una libertà che sia tale, nel senso pieno del termine,perché priva di gabbie ideologiche,di pregiudizi politici,  di condizionamenti e di compromessi. Una libertà che sia un qualcosa di autentico e di vero, che sia molto di più della facoltà di mettere una crocetta, di aprir bocca quando si vuole, (magari senza nemmeno valutare di avere il cervello connesso alla bocca), et similia. Questi, mi spiace, sono semplici e magri ossicini da dare in pasto a chi si accontenta di tirare a campare e che non saziano affatto la mia fame di LIBERTA’!

R.M.

P.S. Dedico questo scritto alla persona che mi sta vicina, agli amici di sempre con cui ho potuto confrontarmi, discutere e farmi delle idee. In particolare, lo dedico ad Edoardo, che mi ha chiesto di occuparmi di questo argomento.

domenica 3 aprile 2011

DA IL GIORNALE:LA GREEN ECONOMY?L'HA INVENTATA IL DUCE E SI CHIAMAVA AUTARCHIA

Riporto un articolo uscito oggi su "Il Giornale". Finalmente si dà spazio a qualche lettura originale della storia, che non sia la solita falsa, ipocrita e assurda vulgata data in pasto al popolino moderato,democratico e buonista. Il libro indicato sarà sicuramente uno dei miei prossimi acquisti in libreria.

Buona lettura.


La «green economy» l’ha inventa il Duce.Si chiamava autarchia.

La rincorsa a un’economia a basso impatto ecologico; la ricerca di una riduzione dei consumi e degli sprechi; il riciclaggio totale dei rifiuti; una dieta povera di carne e che privilegi i vegetali; bioedilizia; città a misura di bicicletta; carburanti alternativi... Il programma elettorale di un partito ambientalista? La ricetta di un guru dell’ecologia?
No, sono le idee di Benito Mussolini e dei suoi gerarchi per far funzionare l’Italia in regime di autarchia. Insomma una «rivoluzione verde», pensata e in parte realizzata durante quel Ventennio che per qualsiasi radical chic è il male assoluto. Nessuna apologia di fascismo, per carità, semplicemente il risultato di un’attenta ricerca storica portata avanti da Marino Ruzzenenti e pubblicata dalla Jaca Book: L’Autarchia Verde (pagg. 296, euro 25, prefazione di Giorgio Nebbia). Il saggio, realizzato da un ricercatore molto attento alla storia dell’ambiente, prende semplicemente atto di come la crisi del ’29 prima e le sanzioni economiche poi abbiano fatto sì che l’Italia fascista si trovasse a dover affrontare negli anni Trenta molte di quelle «sfide delle risorse» (a partire dai carburanti) che ora attanagliano, per tutt’altri motivi, i Paesi avanzati. E se molte nazioni, in quel periodo, a partire dagli Stati Uniti del New Deal di Roosevelt (il quale non faceva mistero di apprezzare le scelte economiche mussoliniane), furono costrette a mettere in campo scelte simili, solo in Italia si arrivò a una teorizzazione precisa e molto vicina agli ideali di alcuni fan della moderna sostenibilità ambientale: «E poiché la fonte prima della produzione è la terra, la gran madre, quella che se lavorata non tradisce... combatteremo e vinceremo la battaglia dell’autarchia, intesa nel settore rurale a ricavare dalla terra prodotti che essa ci può dare...». Se è indubbio che molti esperimenti autarchici si rivelarono delle vere «stupidisie» (Nebbia), altri avevano una solida base scientifica (il regime nel comparto energetico coinvolse subito Guglielmo Marconi e il Cnr) e hanno gettato le basi di molti sviluppi successivi.
Un esempio banale. Nel 2008 la rassegna Pitti Immagine Uomo vide l’esordio del marchio Milky wear, con abiti realizzati da derivati del latte, «morbidi come un abbraccio». Ebbene, va ricordato che si tratta di una riedizione del Lanital realizzato in periodo fascista. Così come moltissimi esperimenti pionieristici sull’eolico e sul solare furono cantierizzati (e brevettati) proprio in quegli anni. Non se ne abbiano a male i nuovi figli dei fiori.

sabato 2 aprile 2011

IMMIGRATI? A CASA DEI MODERATI C’E’ TANTO POSTO

Tempi duri questi per il “politically correct”, per la politica buonista e pro-immigrazione: la realtà quotidiana, per l’ennesima volta, manda in crisi i teoremi di chi da anni si erige a paladino delle masse migranti, di chi vorrebbe accogliere ogni singola anima sfortunata per pietà e per puro spirito di solidarietà.
Premetto che sul piano etico e ideale non avrei  nessuna eccezione da fare, se non fosse che poi bisogna trasferire l’ideale nel concreto. E' in questa fase che iniziano i problemi.
All'osservatore attento non sfugge, infatti, che dietro a quei valori così elevati che certa politica solennemente proclama e reclama solo per se stessa, non c’è solidarietà, né volere di assistenza, né pietas. Ci sono solo ipocrisia, buonismo e mendacia. E’ semplicemente la solita retorica di chi vuole passare agli occhi dell’opinione pubblica come savio, immacolato, unto del Signore, senza peraltro esserlo davvero, semplicemente per cercare di far passare chiunque la pensi in modo diverso, chiunque badi più all’atto pratico che ai proclami verbali come un ignorante, xenofobo ed intollerante.
Il giochetto è sempre quello da decenni: non dobbiamo “avere paura del diverso”, dobbiamo dimostrarci “comprensivi e disponibili”, dobbiamo comprendere le “ragioni del povero immigrato”, dobbiamo "accoglierli e farne degli italiani" ecc. Insomma, gli unici ad avere dei doveri siamo sempre e soltanto noi. L’extra-comunitario, invece, ha tutti i diritti di questo mondo e nessun dovere, neanche quello di rispettare le leggi giuridiche,umane,etiche e morali del paese in cui viene a trovarsi. Vogliamo davvero continuare a sopportare questa mercanzia che certi signori vorrebbero venderci?
Non è tutto però. La più cocente sconfitta per i fautori dell’immigrazione e dell’integrazione ad oltranza è vedere in questi giorni ogni sorta d’amministratore, di qualunque colore politico esso sia, lottare strenuamente e comprensibilmente per respingere questa marea umana. Già, perché l’immigrato crea allarme sociale e non certo perché ha un diverso colore della pelle, ma semplicemente in quanto è un illustre sconosciuto e cioè un possibile candidato al concorso “miglior uomo dell’anno”, ma anche un possibile delinquente. Chi può prevederlo? Chi pagherà il conto se poi la pietas a tutti i costi dovesse rivelarsi solo stoltezza e dabbenaggine?
L’immigrato poi costa. Stime del Viminale parlano chiaro: l’emergenza immigrazione rischia di costare agli italiani 200 milioni di euro, perché lo sfortunato immigrato mangia, beve, deve trovare un riparo dignitoso, godere di un minimo di assistenza sanitaria, deve essere identificato, deve essere sorvegliato nonché spostato da un centro di accoglienza all’altro quando lo richiedano situazioni contingenti, quali appunto le nuove ondate migratorie.
Un amministratore deve affrontare queste emergenze con una mano sul cuore ed un'altra al portafoglio, perché poi deve incasellare numeri e numeri ed il risultato non può essere minore o uguale a zero.Tutti questi servizi, infatti, non vengono erogati con le chiacchiere, con le facili e melliflue parole dei signori in cachemire che di professione fanno i buonisti, gli antirazzisti e gli unti del Signore, né sono una manna dal cielo. Piuttosto, vengono presi da fondi che non sono infiniti e che, alla fine, pesano sui bilanci di qualsiasi istituzione; vengono aspirati dalle tasche dei contribuenti che, letteralmente, sono costretti a togliersi il pane di bocca per darlo agli altri. Con una differenza però : la gente comune adempie al suo dovere in un dignitosissimo silenzio, senza voler dare lezioni di umanità a nessuno e senza aspirare ad alcuna beatificazione. Naturalmente, ogni vaso, goccia dopo goccia, si riempie. E' un dato facilmente preventivabile.
Ad ogni modo, se i signori di cui sopra vogliono dare un esempio apprezzabile e condivisibile, vadano allora ad impegnarsi essi stessi sul campo. Vadano a Lampedusa, a Manduria o a Ventimiglia. Accolgano in casa tanti immigrati quanti la loro abitazione può contenerne, ovviamente assumendosi la responsabilità di sorvegliarli. Sfamino tanti poveri cristi quanti le loro tasche possano permettersi di sfamarne. Vadano loro a controllare che nessuno fugga dai campi e vada a rubare nelle case. Si muovano loro per convincere la gente del luogo che non ha nulla da temere di fronte a migliaia di perfetti sconosciuti che bussano alla porta di casa. Accompagnino loro i “transfughi” che lasciano l’Italia per andare in Francia, naturalmente a spese loro. In altre parole, siano loro a cedere il proprio mantello, ad assistere gli infermi, a sfamare gli affamati e a dissetare gli assetati. Diano prova di saper compiere sul serio buone azioni e non solo di pretendere di insegnarle e raccomandarle agli altri. Perché a parole sono davvero bravi tutti...

venerdì 1 aprile 2011

TRADIZIONE: "NATA PER UNIRE"

Mi scuseranno gli autori del celebre spot ideato per la commemorazione del CL anniversario dell’Unità d’Italia se mi sono appropriato del loro slogan e,soprattutto, se ne ho cambiato il soggetto. Stavolta non voglio riferirmi all'amatissima bandiera italiana, bensì alla dolcissima Tradizione.
Mi chiedo: ma la tradizione è di destra o di sinistra? Ha forse colore politico?
Mi pongo queste domande perché in molti storcono il naso per il nome che ho scelto per questo blog e, ovviamente, per il suo campo di indagine. Mi dicono che ci vedono un qualcosa di estremo, anzi di estremista. Estremismo di destra, ovviamente e, si sa, parlando di destra estrema, il “male assoluto” è sempre dietro l’angolo.
La cosa sinceramente mi fa un po’ sorridere: cosa c’è, infatti, di estremista o di sovversivo nel voler intraprendere un viaggio a ritroso nel tempo, per riscoprire il mio passato, la mia storia, le mie usanze, gli usi e costumi e, perché no, il folklore della mia terra?  A pensarci bene, poi, quell’aggettivo possessivo, “mia”, che ho ripetuto così tante volte, è anche un’imprecisione logica e linguistica. La meta di questo viaggio, infatti, riguarda tutti da vicino, se non altro per il semplice fatto che viviamo nella stessa terra, parliamo la stessa lingua e abbiamo ricevuto un’educazione tutto sommato simile, (anche se poi c’è chi si accontenta dei valori e delle storie convenzionali  e chi,invece,ha l’interesse di andare alla ricerca della genuinità, sempre e comunque, costi quel che costi).
Ebbene, noi italiani riusciamo a dividerci anche su questo: non riusciamo, cioè, neanche a guardare con serenità al nostro passato, ad approcciarvi in maniera condivisa.
E come potrebbe essere altrimenti, se ci sono persino politici che nelle loro ultime uscite palesano di avere tutto l’interesse a dimenticare in fretta ciò che fu e ciò che è stato?Per non parlare poi dei soliti ipocriti benpensanti, che si arrogano il diritto di catalogare il passato, bollando questo fatto come “buono” e quest’altro come “cattivo”. Naturalmente, non sono ammesse repliche al loro operato.
Di fronte a tutto questo mi domando: si può essere così idioti?
Davvero non ci rendiamo conto che stiamo scrivendo da soli la nostra condanna a morte?

E poi chiedo: su cosa si può costruire il futuro, se non riusciamo ad avere una base comune su cui poterlo adagiare, un terreno fertile con cui nutrirlo?
Questa base, questo terreno, signori miei, non può altro che essere quella Tradizione di cui sto scrivendo da giorni!
Tradizione vuol dire l’esempio degli augusti imperatori romani e dei loro discendenti, le antiche jestes dei cavalieri mediovali , la passione, le speranze e le sofferenze dei grandi poeti, gli insegnamenti dei filosofi di ogni tempo, le fatiche dell’onesto bracciante, i sacrifici del pater familias e la dolcezza della donna, autentica regina del focolare, le meravigliose piazze delle nostre città, le viuzze dei nostri paesi, gli scorci sui nostri possenti monti, l’ampiezza del nostro mare e tanto altro ancora.
Tutto questo deve unirci; tutto questo dobbiamo riscoprire e su tutto questo dobbiamo costruire le fondamenta per il nostro avvenire.
Che necessità c’è, allora, di affannarsi in risibili tentativi  di costruire un futuro su un’accozzaglia di norme giuridiche, imposteci da altri, che sono il simbolo vivente della divisione e dell’ostilità? E’ una pura distopia, assurda e sconveniente da tutti i punti di vista!
Abbiamo a disposizione un enorme patrimonio nazionale da riscoprire, valorizzare, custodire e tramandare. Lo abbiamo da sempre sotto i nostri occhi; anzi ce lo portiamo da sempre addosso, cucito come è alla nostra pelle.
Quando ci decideremo, allora, ad investire su di esso, cioè ad investire su noi stessi?
Spero solo prima che questa enorme ricchezza, tramandataci da padre in figlio,  ci sfugga di mano, perché poi non ci resterebbe altro che un amarissimo pianto : non una buona base su cui costruire, ma un tragico lago in cui annegare.

R.M.